In verità siamo creature immortali

In verità siamo creature immortali

Certo che la vita è proprio strana, lottiamo fin dal primo istante per aggiudicarci il primo posto, nonostante gli adolescenti scarichino la colpa sui propri genitori quando le cose non vanno per il verso giusto e vengono ripresi per la loro “condotta” (la classica frase quasi disperata: “Tu mi hai messo/a al mondo, non l’ho chiesto io!”). Ma la verità è che siamo noi a decidere “con una certa prepotenza” di nascere, in alcuni casi, anche quando i nostri cari prendono precauzioni anticoncezionali.

Tutto comincia in maniera serena e giocosa, fin quando ad un certo punto avviene in ognuno di noi un cambiamento, cominciamo a paragonarci con i nostri coetanei, diventiamo sensibili verso i loro pensieri, battute, critiche, ecc., e da quel momento, anche se inconsciamente, iniziamo a paragonarci con loro, poi man mano che si cresce diventa una vera e propria competizione.

Dal momento che la vita non è uguale per tutti ci si concentra sul potere e la ricchezza, dove però a spuntarla neanche a farlo apposta sono al 95% le persone privilegiate dato che raramente una persona nata in una famiglia disagiata diventa ricca e/o potente.

Ma in realtà non dovremmo preoccuparcene, dato che probabilmente siamo vittime di uno sporco gioco, una sorta di strano scherzo, forse come sostiene qualcuno “una prova”, dove ci è dato a credere che la vita è rara e soprattutto unica, per cui è quasi un obbligo prestare molta attenzione a come si giocano le proprie carte. Tuttavia, abbiamo diverse prove che dimostrano il contrario.

Le guerre, i continui omicidi/suicidi, le violenze, tanta crudeltà e sete di potere, per cosa?

Siamo creature immortali

Mi è capitato di leggere diversi libri che trattano argomenti “paranormali”. Il mio interesse nella lettura di questi ultimi nasce dopo un episodio spiacevole (anche se del tutto naturale) ovvero dopo la scomparsa di una persona cara, grazie alla quale ho avuto diverse conferme su ciò che ho sempre sospettato, ossia che il nostro corpo è solo un contenitore provvisorio. Non posso scendere nei dettagli per rispetto della mia famiglia, ma ti assicuro che ho vissuto in prima persona esperienze illuminanti dove anche il più scettico trovandosi al mio posto, avrebbe sicuramente cambiato idea riguardo certe questioni. Niente trucchi e niente inganni (come mostrano gran parte, se non tutti, i cacciatori di fantasmi in TV) ma solo “realtà dei fatti”. C’è stato anche un momento dove una parte di me ha pensato che certe esperienze andavano registrate, ma l’altra mi suggeriva che era una mancanza di rispetto, certe cose sono personali…

Una cosa posso dirla però, quanto leggerai di seguito è tratto da un libro, leggendo questa parte mi sono venuti in mente certi ricordi di quegli istanti degli ultimi giorni di vita. Aggiungo solo che, non bisogna necessariamente pensare al Paradiso come quello descritto dalle religioni. Ad ogni modo ciò che importa è il benestare della persona che andrà in quel luogo/dimensione.

Gli ultimi giorni di vita

Negli ultimi giorni di vita il malato terminale si ritrae in se stesso, quasi volesse prepararsi a liberare la propria anima. Tende a rivivere le vicende di un lontano passato con sentimenti diversi e spesso ha bisogno di aiuto per affrancarsi da questo mondo. Ciò è importante affinché l’anima possa essere resa al momento dovuto. In questo periodo il paziente può fissare intensamente alcuni angoli della stanza, oppure sostenere brevi conversazioni con spiriti invisibili di familiari deceduti o con angeli luminosi. Sono questi esseri spirituali a recargli pace e conforto e ad aiutarlo a risolvere le sue questioni emotive, interpersonali e spirituali rimaste in sospeso; il loro fine ultimo è che il loro assistito possa effettuare il passaggio alla vita ultraterrena in pace con se stesso e con gli altri.

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A volte chi osserva dall’esterno può formulare giudizi affrettati e parlare apertamente di comportamenti allucinatoli e deliranti del paziente; ma così facendo non si rende conto che tali asserzioni negative dissuadono il malato dal parlare liberamente delle sue esperienze spirituali (cosa che, ironicamente, finisce con il prolungare la sua sofferenza). Al contrario, per favorire un trapasso sereno, la famiglia e gli amici dovrebbero sforzarsi di creare un’atmosfera in cui il paziente si senta al sicuro, amato, per nulla esposto a critiche. Un atteggiamento simile lo invoglia a descrivere le sue visioni confortanti e le sue esperienze di redenzione; l’effetto finale è lo sfogo del suo dolore emotivo, interpersonale e spirituale.

Anche se si trova fra le mura domestiche, il paziente manifesta un forte desiderio di tornare a casa. Insiste che deve «prendere il treno», «prendere l’autobus» o «prendere l’aereo» per casa. Queste espressioni sono metafore dell’ultimo viaggio, il più sacro di tutti: il viaggio in paradiso. Il malato può tendere le braccia verso l’alto, quasi cercasse di sfiorare l’intangibile. Molti pazienti descrivono questo protendersi come lo sforzo di tenere per mano i loro cari defunti o di accarezzare «le ali di un angelo». È il momento in cui gli esseri spirituali invitano i pazienti a camminare verso di loro, a inoltrarsi nella luce fino a essere del tutto illuminati.

Quando la fine è vicina, affiora il delirio. Il paziente può buttare da parte le lenzuola e strapparsi di dosso i vestiti o i cateteri venoso e vescicale. Questo comportamento è noto come delirio ed è causato da una moltitudine di fattori tra i quali (ma non solo) il dolore, l’incapacità di svuotare del tutto la vescica, la stitichezza, la disidratazione, l’insufficienza epatica e renale, la febbre, le infezioni, un basso contenuto di ossigeno nel sangue e, da ultimo ma non meno importante, lo stadio avanzato della malattia. Il trattamento del delirio comprende varie misure fra cui gli oppiacei (come la morfina) contro il dolore e la dispnea, un catetere per ovviare alla ritenzione di urina, lassativi per la stitichezza, liquidi per via endovenosa o sottocutanea per la disidratazione, ossigeno somministrato con cannula o maschera nasale, farmaci sedativi quali l’aloperidolo, la clorpromazina o (meno spesso) il lorazepam per conseguire un sollievo immediato e durevole.

A quel punto l’impiego di oppiacei, di neurolettici e di ansiolitici, il cui effetto indesiderato principale è la sedazione, di solito diventa necessario per far rilassare e proteggere il paziente.

L’equilibrio tra sollievo dal dolore e mantenimento della consapevolezza cognitiva negli ultimi giorni di vita subisce un drastico tracollo, che però è inevitabile. Dato l’aumento esponenziale delle tossine in circolazione in prossimità della morte, ciò compromette ancor più la capacità del paziente di rimanere vigile.

Va ricordato che si tratta di una reazione naturale del corpo, il quale rimuove la consapevolezza di morire per proteggere il iniziente dagli effetti traumatici dell’agonia. La famiglia e gli amici vorrebbero tanto che la persona amata rimanesse sempre vigile fino alla fine, ma sta di fatto che per il malato sarebbe troppo doloroso.

In quest’ultima fase è indispensabile che amici e parenti lascino dormire il paziente quando e quanto desidera. Dato che Il nervo stato-acustico sopravvive più di tutti al processo caustico di agonia, si potrà constatare che accarezzare piano la persona amata sulla testa, umettarle le labbra secche e la bocca asciutta e sussurrarle che tutta la famiglia e gli amici sono riuniti in amore e in preghiera, le porterà un senso di liberazione e di pace. Un continuo incoraggiamento a seguire gli angeli di Dio e i cari defunti le assicurerà inoltre un passaggio sereno nel regno celeste.

Con una diminuzione del livello di coscienza, la congestione polmonare, la mancata percezione del polso distale e le estremità cianotiche, quasi sicuramente la morte avverrà nel giro di poche ore. Nel frattempo il paziente di solito riesce ad affrancarsi da questo mondo con la mente, il corpo e lo spirito e resta in attesa della fine pervaso da un’inebriante sensazione di euforia.

A pochi minuti dalla dipartita, sul suo viso si possono scorgere un’ultima lacrima e un sorriso. Quest’ultima lacrimazione viene spesso chiamata epifora. Dopo la morte, la famiglia e gli amici che sono stati intimamente coinvolti nell’alleviare il gran dolore fisico del paziente trovano conforto in un travolgente senso di sicurezza che la persona amata sia stata portata sulle ali degli angeli nel regno celeste di Dio.

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In verità siamo creature immortaliultima modifica: 2015-08-25T19:31:13+02:00da subbuteo63
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