Lobsang Rampa: La mia Visita su Venere – Parte 2

La mia Visita su Venere – parte 2
I venti vespertini, soffiavano delicatamente fra gli alberi della “Valle Nascosta”.Regnava un’atmosfera di pace, di armonia, di Esseri che lavoravano per il Bene. Noi stavamo raccolti accanto al fuoco del nostro campo: il Lama Mingyar Dondup, io e tre compagni.
Eravamo giunti dalla lontana Lhasa superando montagne dalle pozze d’acqua congelate e aride pianure; solo cinque di noi erano rimasti, degli undici partiti. I nostri compagni erano caduti lungo la strada, vittime di valanghe, di privazioni e dell’asprezza gelida del freddo.
Finalmente stavamo in pace al calore di quel magnifico luogo nascosto. Cose incredibili, per la verità, ci erano accadute da quando eravamo entrati in contatto con Entità di altri mondi; coloro che proteggono la Terra dall’autodistruzione.
Quella sera avevamo pensato di andare a dormire presto; era necessario riguadagnare il sonno, il singolo riposo, poiché tutto il giorno l’avevamo trascorso ammirando i segreti dell’immensa città, ormai semi-sepolta dal ghiaccio.
Avevamo appreso tanto, ma dovevamo imparare di più. Ci osservammo l’un l’altro domandandoci chi stesse parlando, poiché un gentile ma continuo pensiero si era insinuato nelle nostre menti. “Fratelli, fratelli… venite da questa parte, vi stiamo aspettando”.
Esitanti, uno dopo l’altro, ci alzammo in piedi e ci guardammo attorno… non c’era nessuno in vista, ma ancora una volta giunse l’insistente invito:
“Fratelli, da questa parte, vi stiamo aspettando”. Allora, seguimmo il nostro intuito e ci dirigemmo verso l’area di lavoro in cui sostavano navi di altri mondi, dove molte individualità extraterrestri svolgevano i loro numerosi incarichi.
Non appena ci approssimammo ad uno dei vascelli più grandi, un uomo, il “Più Alto”, scese e ci venne incontro tenendo la sua mano sul cuore in un gesto di pace e di saluto. “Ah, fratelli, finalmente siete arrivati. Sono ore che vi stiamo chiamando, abbiamo pensato che i vostri cervelli si fossero addormentati”.
Ci inchinammo umilmente alla sua presenza, rispettosi di fronte a quell’Esseresuperiore proveniente dallo spazio. Egli si girò e ci fece strada all’astronave. Sostammo in un preciso punto a fianco del velivolo e là ci sentimmo rapiti da una grande forza che ci attraeva verso l’alto.
 
 
“Sì” ‒ disse ‒ rispondendo ai nostri pensieri inespressi ‒ “Questo è un raggio anti-gravità, un «levitatore» come noi lo chiamiamo, e ci risparmia la salita”. Entrati nel vascello, ci condusse in un ambiente dove c’erano dei sedili allineati lungo la parete.
Era una sala rotonda che riportava alla mente la nave in cui avevamo recentemente viaggiato. Infatti, con una rapida occhiata, ci accorgemmo di poter guardare fuori, come se le pareti non esistessero, nonostante ben sapessimo che queste erano solide come metallo, la cui durezza superava qualsiasi nostra conoscenza.
“Fratelli miei, voi avete viaggiato parecchio e sopportato molto, stando ai fatti. Questa sera vi porteremo via, lontano dalla Terra, su un pianeta che voi chiamate Venere.
 
Vi condurremo là, semplicemente per mostrarvi che ci sono altre civiltà esistenti oltre la personale cognizione, in modo che in futuro i vostri giorni siano illuminati dalla conoscenza di ciò che è reale e da quello che potrà esserlo. Ma prima ceniamo. Io so che avete l’abitudine di condividere il pasto serale.”
Inviò un comando telepatico ed alcuni assistenti entrarono portando dei piatti. Uno di loro andò verso una parete e premette vari bottoni. Una sezione del pavimento si alzò e apparve qualcosa di simile ad un tavolo insieme a delle poltroncine sulle quali potevamo accomodarci nell’antico uso orientale.
Il rivestimento rilucente dei piatti, costituiti dal più puro cristallo, venne rimosso epotemmo accedere al cibo che era per noi davvero stupefacente. Frutti di vari colori e miscele in brocche cristalline. Il nostro padrone di casa era molto attento ai nostri desideri.
Il “Più Alto” disse: “Noi, qui, ci alimentiamo solo con ciò che la natura fornisce. Abbiamo frutti mai visti sul vostro mondo, frutti che sostituiscono il pane, la carne ed ogni altra cosa. Questi impasti a voi molti graditi, sono combinazioni di noci provenienti da altri pianeti di questo sistema”.
E tali cose erano davvero deliziose… tanto che mangiammo realmente bene! La fragranza era insolita ma decisamente piacevole e i liquori che bevemmo erano spremute di frutta. Questi Esseri, pensammo, erano più avanti di noi tibetani. Non uccidevano alcuna creatura, né forzavano gli animali per acquisirne il latte.
Concluso il pasto, i piatti vennero rimossi e il tavolo coi sedili scomparvero di nuovonel pavimento. Il “Più Alto” aggiunse: “Questa volta verrò con voi, ci stiamo già muovendo”. Si girò e guardò attraverso la parete. Non c’era sensazione di movimento, né suono, eppure ci stavamo alzando.
Ci sollevammo velocissimi lasciando il buio della Terra e, guardando sotto di noi,scorgemmo il Sole splendere nuovamente all’orizzonte, sopra la curvatura terrestreormai lontanissima.
Andando sempre più su, osservammo i continenti del pianeta nelle varie grandezze,dai colori verdi e marroni. Vedemmo il bianco delle nuvole ed il grigio-bluastro delle acque turbolente dei mari; ma delle attività dell’uomo nessuna traccia, non un segno che dalla nostra altezza potesse delineare la vita sulla Terra.
Più in alto, vedemmo che strane luci giocavano fuori dagli oblò, come se l’arcobaleno si fosse suddiviso in lamine ondulanti dalle sfumature mai viste, ma era soltanto un’espressione elettromagnetica dell’aurora.
Si manifestava come se la Terra fosse cinta di rosso, di verde, d’oro e di un profondo color porpora, toni fluttuanti in un vento invisibile. Piogge di luci brillavano e scintillavano nell’insieme cromatico e si proiettavano attraverso gli spazi come trafitture di lance divine.
Ci alzammo vertiginosamente entrando nel buio profondo del Cosmo. La Terra non era altro che un piccolo frutto rotondo con uno strano bagliore grigio-blu, contrariamente alla Luna che aveva una luce giallognola. Strano, perché quella tinta, in verità, era molto particolare.
La velocità aumentò; le stelle davanti a noi mutavano colore e il Sole aveva cambiato i suoi raggi dorati in rosso sangue. Sotto di noi la Terra era scomparsa. Restammo stupefatti nel vedere che non c’era nulla se non il buio, l’oscurità più completa ed assoluta.
Mi rivolsi al “Più Alto”, ma lui sorrise e disse: “Fratello mio, stiamo andando più veloci della luce e così dietro di noi essa non può esserci perché la stiamo superando, mentre avanti la stiamo afferrando.
 
In questo modo l’intero spettro del visibile è sconvolto. Così, invece del bianco abbagliante di un pianeta, tu vedi rosso e poi rosso cupo finché non diventa porpora ed infine nero. La luce che vedi non è che l’illusione dei tuoi sensi”.
Più Veloci della Luce
Tutto questo era davvero affascinante, la velocità superava la luce senza dare alcuna sensazione di movimento. Non riuscivo a comprendere come essi potessero navigare a tale andatura e la risposta fu che ogni cosa era sotto controllo robotico.
Seduti ai nostri posti guardavamo fuori, incantati. Invece di minuscoli punti luminosi, vedevamo delle strisce, come se qualche goffo artista avesse imbrattato un muro scuro con vivide colorazioni che cambiavano di continuo.
Finalmente, i colori cominciarono ad apparire più normali. Il nero fece strada al porpora, il porpora al rosso-marrone e poi al rosso-scarlatto e dietro di noi vedemmo di nuovo le luci del firmamento.
Tuttavia, le stelle alle nostre spalle erano verdi e blu mentre quelle davanti erano rosse e gialle. Ma come rallentammo maggiormente, tutte assunsero la loro tinta naturale.
Improvvisamente, di fronte a noi, si presentò una sfera enorme che pigramente ruotava nel nero mare cosmico. Un mondo totalmente coperto da bianchi cirri, una sorta  di  lanugine  fluttuante  sullo  sfondo  di  un  cielo  buio.
Girammo in circolo due, tre, forse cinque volte, poi, il “Più Alto” disse: “Stiamo per entrare nell’atmosfera, presto atterreremo e voi potrete camminare su un pianeta che non è alieno ma a voi soltanto inconsueto”.
Pian piano la nave si abbassò, lentamente si immerse nelle bianche nuvole ovattate;il “Più Alto” toccò un comando e fu come se delle magiche dita le avessero cancellate, eliminando ogni cosa impedisse la vista.
Guardammo fuori intimoriti. Le nubi per qualche magia si erano rese invisibili, e ci apparve questo mondo sfavillante abitato da Esseri superiori. Abbassandoci maggiormente, apparvero delle città fantastiche che si elevavano ritte verso il cielo: immense strutture, bellezze eteree quasi incredibili nei fini decori delle costruzioni.
Alte guglie e cupole a forma di bulbo; da torre a torre correvano dei ponti simili a ragnatele percorse da miriadi di iridescenze vibranti: rosso, blu, malva, porpora ed oro, eppure, strano a dirsi, non c’era sole; un mondo interamente avvolto dalle nuvole.

Mi guardavo intorno e passando da una città all’altra, avevo l’impressione che l’atmosfera fosse scintillante. Tutto nel cielo effondeva luce, non c’erano ombre e neppure una fonte centrale di emanazione.

Sembrava che l’intera struttura dell’aria irradiasse uniformemente e in maniera autonoma. La luminosità stessa era di una qualità che non avrei mai creduto potesse esistere. Era limpida e tersa.
Infine, lasciammo le città e sorvolammo un mare luccicante di un purissimo blu.Sull’acqua c’erano pochi e piccoli natanti. Il “Più Alto” sorrise benevolmente non appena vi feci riferimento e spiegò: “Sono semplicemente piacevoli imbarcazioni; non usiamo nulla di così lento su questo mondo”.
Dopo qualche minuto attraversammo la distesa azzurra e giungemmo ad un’altra fulgida città, migliore di quella vista prima, dove proprio nel suo cuore c’era un’area presso la quale si poteva scendere.
Per poco tempo vi volammo sopra, in prossimità della zona d’atterraggio, poi, come in risposta ad un segnale, cominciammo ad abbassarci lentamente senza alcun suono né difficoltà, e in modo quasi impercettibile iniziammo ad avvicinarci al terreno.
Ad un certo punto, ci trovammo al livello delle torri più alte di quella sfolgorante Metropoli ed era di una bellezza che nessun tibetano aveva mai visto. Non era possibile nemmeno individuare la natura dei materiali.
Verso le stelle si elevavano immense strutture dalle cui finestre dei volti osservavano con estrema attenzione. Avvicinandoci e scendendo ancora, potemmo discernerli con molta chiarezza, ed erano bellissimi.
Ovunque, in verità, durante il nostro soggiorno su Venere non vedemmo nessuno che, secondo il metro umano, non fosse così sorprendentemente bello. La bruttezza è sconosciuta su quel mondo, sia come frutto della mente quanto del corpo: assente in ambedue.
Gilbert Williams

Ancor prima d’esserne consapevoli, avevamo toccato terra. La nave era discesa senza un fremito, senza sussulti.

Il “Più Alto” si voltò verso di noi e disse: “È tempo di scendere, fratelli miei”. E ci fece strada fuori dalla sala. Quando toccammo il suolo, ci guardammo per la prima volta. Precedentemente, eravamo troppo occupati per meravigliarci della nostra discesa.
C’erano degli Esseri che ci aspettavano: degli ufficiali, uomini molto slanciati dai visi seri e con una dignità di portamento del tutto sconosciuta sulla tumultuosa Terra.
Uno di loro fece un passo avanti nella nostra direzione e reclinò il capo in segno di saluto. Nelle nostre menti si fece strada il suo intendimento telepatico.
Ci stava dando il benvenuto con il linguaggio universale del pensiero. In quella adunata regnava il più assoluto silenzio, neppure un suono, se si esclude il nostro leggero ansimare per la sorpresa.
La Sala della Conoscenza
Per alcuni minuti restammo in telepatica comunione, poi il funzionario ci fece un inchino, si voltò e, per istruzioni mentali, ci fece cenno di seguirlo. Andammo avanti per una cinquantina di passi ed arrivammo al più straordinario dei veicoli; veniva chiamato “macchina volante”.
Era una navetta lunga pressoché nove metri e sospesa per circa otto centimetri dal terreno. Una sezione di plastica luminosa scivolò di lato mostrandoci l’interno. Il “Più Alto” e l’ufficiale entrarono con noi.
Prendemmo posto su confortevolissimi sedili e, ancora una volta, restammo attonitiper l’assenza di velocità: una reale, spaventosa velocità. Gli edifici ai quali passavamo accanto apparivano offuscati per la corsa; io ero terrorizzato.

Non c’erano controlli sul veicolo, eravamo seduti ed esso ci portava. Il “Più Alto” mi sorrise benignamente rassicurandomi: “Nessuna paura fratello mio, non può essercene, poiché questa macchina è controllata da lontano.

 
Presto raggiungeremo la nostra destinazione ‒ la Sala della Conoscenza ‒ dove sarete accolti e vi verrà esposto il passato, il presente e il futuro della vostra Terra.
 
Cosa vi riserva l’avvenire? È l’uomo che fattura il proprio destino. I possibili eventi del domani esistono in potenza e a meno che l’Essere non cambi la sua mente, quelli che vedrai sono fatti certi”.
Osservai la fiancata e scoprii che sfrecciavamo ad un metro e mezzo dal suolo che lampeggiava. I veicoli provenienti dall’altro lato sembravano venirci addosso e poi, all’ultimo istante, ci sfioravano.
Ero spaventato a morte! Il solo pensiero che essi, spinti ad una così impossibile corsa, potessero scontrarsi mi faceva venire i brividi alla spina dorsale.
Mi resi conto che le costruzioni scorrevano più lentamente, come se fossero loro a muoversi, sensazione dovuta al fatto che non percepivo alcun movimento, né velocità.
Gradualmente la navetta rallentò e rimase sospesa, percorse poi un mezzo circolo egirò sulla sinistra verso un enorme fabbricato che si ergeva in una radura. Era un immenso edificio pubblico sostenuto da rilucenti colonne.

Un’ampia scalinata conduceva ad esso e sui gradini c’erano gruppi di giovani apparentemente in attesa dei visitatori dal Tibet.

La macchina proseguì lentamente, forse all’andatura di un uomo che corre. Si elevò alla medesima altezza dell’ultimo ripiano della scalinata, poi scivolò all’interno dell’ingresso principale del mirabile complesso e si fermò.
Degli assistenti si affrettarono ad incontrarci, le porte si aprirono e fummo aiutati a scendere. Mi guardai intorno assolutamente affascinato. Da un lato c’era un tavolo rivestito di verde attorno al quale si trovavano dei troni dorati sui quali sedeva un gruppo di uomini.
Immediatamente ci mettemmo in comunicazione telepatica con loro: con i Signori di Venere, i Controllori di quella particolare sfera di attività. Non ha importanza cosa ci comunicarono, né ciò che noi dicemmo loro ma, alla fine, un uomo “pensò” a noi:
“Fratelli miei, ci siamo scambiati molta conoscenza interessante. Ora, vi daremo una visione del vostro pianeta, un prospetto delle condizioni in cui versano attualmente  i  paesi  terrestri  e  vi  mostreremo  il  corso  probabile  del  futuro”.
Egli si alzò e gli altri lo seguirono. Ci fecero strada lungo un corridoio ma, senza volerlo, noi del Tibet ci fermammo e trattenemmo il respiro semplicemente perché stupiti e sconvolti. Davanti a noi apparve il buio della notte, l’oscurità profonda dello spazio, e fluttuante, roteando lentamente, la nostra Terra.

Vedemmo il blu-grigio dei continenti, i territori bruni, le strisce di verde, il bianco delle nuvole e la caligine bluastra dell’atmosfera che si estendeva fino a cingere l’intero nostro mondo.

Il nostro grande amico, Il “Più Alto”, mi toccò e sussurrò in Tibetano: “Nessun timore, fratello mio, perché si tratta solo di un’immagine. Questa è la Sala delle Memorie, la Sala della Conoscenza riservata alla Terra.
 
Non impaurirti di ciò che accade perché è la scienza dell’illusione e concerne direttamente il tuo mondo che è, appunto, illusorio. Tu vedrai, e ciò che vedrai sarà la verità”.
Ci sedemmo e questo sembrò il segnale. Fissammo il nostro mondo ed avemmo la sensazione di cadervi, seppur dolcemente. Ma avvicinandoci di più realizzammo che era molto diverso. Prima ci apparve un globo molliccio, poi, di fronte ai nostri occhi spaventati, si solidificò.
Apparvero molte crepe e dei canali infuocati emersero in superficie, quindi fu l’acqua ad inondare tutto. Vasti territori si inabissarono mentre altri emersero formando paesi e mari; assistemmo allo sconvolgimento terrestre, alla sua nascita.
Vedemmo incredibili e bizzarri individui: gli abitanti primordiali del pianeta.Osservammo impensabili civiltà fiorire eòni prima di Lemuria, Atlantide e Poseidone.

Da quel momento, eravamo in grado di accettare qualsiasi cosa senza un fremito di stupore. Avevamo fatto indigestione di sorprese; esse non avevano più potere su di noi.

Così, di fronte al nostro sguardo la Terra diventò più vecchia ed infinite nazioni furono spazzate via, sostituite da altre; questo fatto attirò maggiormente il nostro interesse, ma nulla più.
La nostra potenzialità di sbalordimento era finita. Poi il tempo arrivò anche per noi.Vedemmo il Tibet quando il primo fondatore della nostra religione giunse in quel paese. Vedemmo i palazzi del Potala e la distruzione della vecchia fortezza che nel passato era stata edificata dal sanguinario monarca tibetano.
Le immagini toccarono il nostro presente e proseguirono nel futuro fino all’anno 3000. Erano stupende le cose che stavamo vedendo e sentendo. Ci sembrava di stare sopra la Terra, come se gli fossimo accanto o leggermente dietro agli attori principali. (Peccato però che non ci viene raccontato nulla… ndr).
Eravamo nella condizione di vedere ogni cosa (cfr. QUI; ndr), di ascoltare tutto, ma non potevamo toccare né essere toccati. Poi, alla fine, quelle magnifiche impressioni svanirono poco più in là dell’anno tremila.
Il “Più Alto” si mosse e disse: “Ora tu vedi, fratello mio, perché abbiamo cura del vostro pianeta; se la follia dell’uomo fosse lasciata priva di controllo, cose terribili accadrebbero alla razza umana.
 
Ci sono poteri sulla Terra, umani poteri che si oppongono con tutte le loro forze alla realtà dei nostri vascelli; che dichiarano non esserci nulla di più grande dell’uomo. Così, non possono esistere veicoli da altri mondi.
 
A voi, fratelli miei, tanto è stato mostrato, detto e fatto sperimentare, così ora, per mezzo della vostra conoscenza telepatica, potrete contattare altri Esseri in modo da sollecitarne il giusto comportamento”.

Non sappiamo quanto tempo restammo su Venere. Forse giorni… o settimane,eravamo quasi abbacinati dallo splendore di ciò che vedevamo. La gente, contenta della propria rettitudine, era pacifica, desiderosa solo di quiete, di ciò che anche noi in Tibet aneliamo: “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”.

Poi giunse il momento di rientrare sulla Terra. Ci sembrava ormai un posto di poco valore, un mondo chiuso nella banalità in rapporto alla gloria venusiana. Tristemente, salimmo a bordo dell’astronave e alquanto mesti tornammo nella Valle Nascosta.
Mai più, pensai, vedrò simili cose meravigliose! Ma come mi sbagliavo! Infatti, quello non fu che il primo di molti altri viaggi…
Relazione, adattamento e cura di: Sebirblu.blogspot.it
Fonte: report dal libro di T. Lobsang Rampa ‒ “La mia Visita su Venere”
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Lobsang Rampa: La mia Visita su Venere – Parte 2ultima modifica: 2016-04-14T16:34:32+02:00da subbuteo63
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