GLI APUNIANI, FANTASTICA RAZZA ET VIVENTE IN PERÙ.

Olivier de Rouvroy

Gli Apuniani
Gli Apuniani, o semplicemente Apus, sono un’antica razza di Esseri provenienti da una lontana costellazione. Da migliaia d’anni i loro antenati visitarono la Terra e si insediarono in parecchie regioni che si trovano oggi in Perù, Cile, Messico, ed anche in Cina.
Sono loro gli artefici dei famosi geoglifi di Nazca e delle rovine simili a quelle di Cuzco e del Machu Picchu. I loro UFO hanno la forma classica a disco ma talvolta appaiono come strani velivoli dalle ali ripieghevoli.
Il loro nome deriva dal pianeta d’origine: “Apu”, ma un tempo hanno abitato pure in un altro mondo chiamato “Itibi-Ra”, che appartiene probabilmente al sistema di Andromeda.
I loro avi sono rimasti sulla Terra solo per un periodo molto breve, qualche decina d’anni. Furono costretti poi a ripartire a causa di una malattia respiratoria che avevano contratto sulla nostra Terra, provocata dalla mancanza d’ossigeno nella nostra atmosfera.
In epoca più recente, i loro discendenti, essendo riusciti a superare le difficoltà ambientali, sono tornati qui per studiare le vestigia delle loro colonie ancestrali, e senza dubbio anche per altre ragioni che rimangono per il momento parzialmente misteriose.
Alcuni si trovano attualmente tra noi, come i Venusiani della Terra Cava di cui ho già parlato in altri articoli (vedere QUI e QUI; ndt).
Nessuno può dire con certezza da quanto tempo sono ritornati: secondo certi, da alcune decine d’anni, ma secondo altre fonti, addirittura da parecchie migliaia. Vivono in un luogo segreto da qualche parte nelle alte montagne del Perù.
Ma contrariamente alla maggior parte degli extraterrestri che visitano il Pianeta, tendono più facilmente a mostrarsi agli uomini, presentandosi anche in pieno giorno, per guarire i malati. Questa vicinanza alla popolazione è certamente molto relativa, ma è reale.
Capita pure che soccorrano animali in pericolo. In Perù, “Apu” è un termine che significa “Dio” o più esattamente “Divinità della Montagna.” Gli indios del Perù pensano che la loro colonia attuale si trovi sotto i maestosi picchi di Hua-Marcu.
Due celebri ufologi americani dell’Arizona, Jerry e Kathy Wills che visitano frequentemente il Perù, sono riusciti da qualche anno a prendere contatto con gli Apuniani nel corso di una spedizione sul Plateau di Markawasi vicino alla città di San Pedro de Costa.
Jerry e Kathy Wills
Gli Apuniani li hanno condotti a bordo di un’astronave e hanno mostrato loro certe rovine non ancora scoperte della propria antica civiltà. L’ipotesi di Jerry Wills è che vengano dalla costellazione delle Pleiadi e possiedano una base in Perù, sotto Terra.
Molti gruppi di turisti, avendo visitato l’isola del Sole sul lago Titicaca, dichiarano di avervi incontrato degli Apuniani e sembra che gli indios Quechua di quella regione abbiano dei contatti regolari con loro.
Esiste uno sciamano di nome Cucho che afferma essere in grado di condurre gli stranieri fino all’entrata di una grotta dove è possibile incontrare qualcuno di loro. Se i turisti sono ammalati ed esprimono chiaramente la loro volontà di essere guariti, gli Apuniani possono aiutarli.
Hanno anche il potere di trasmettere a certe persone una forma di immortalità come, a quanto pare, è accaduto ad una europea di nome Ivanka che, secondo Cucho, vivrebbe con essi da più d’un secolo e avrebbe conservato l’apparenza di una giovane donna di una ventina d’anni.
Anche lo scrittore Anton Ponce di Léon Paiva, conosciuto in Perù per aver creato un grande centro d’accoglienza, dove sono ospitati, nutriti e curati gli anziani indigenti e i bambini abbandonati della regione, è entrato in contatto con gli Apuniani alla metà degli anni ’70.
Anton Ponce
In seguito ha fondato un nuovo centro chiamato “Samana Wasi” dove elargisce un insegnamento basato sulla loro saggezza.
Alcuni di loro sono stati pure visti vicino alla montagna del Machu Picchu, così come in Messico, a Huajutla e Chiatipan, nello Stato di Hidalgo. In ogni caso, quando si presentano, sembrano arrivare dall’interno della Terra.
Numerosi ufologi considerano la presenza degli Apuniani in Perù come un mito. Le testimonianze si moltiplicano tuttavia da alcuni anni.
Il  primo  studioso  ad  avere  confermato  la  loro realtà e  presenza  sulle montagne del Perù è un ingegnere peruviano di origine iugoslava, Vlado Kapetanovic, più conosciuto con lo pseudonimo di Vitco Novi.
Nato nel 1918, è oggi un uomo molto vecchio ma che non ha perso nulla della sua vivacità di spirito. Il suo approccio è caloroso e si è sempre mostrato di un’estrema gentilezza verso tutti coloro che l’hanno incontrato. Afferma di aver avuto, dalla metà degli anni ’60, centinaia d’ore di colloqui con gli Apuniani.
Vlado Kapetanovic
Ecco una parte dell’intervista dove racconta in che modo si sono svolti i suoi primi rapporti con loro.
Domanda dell’intervistatore: “Chi sono essi Vlado?”
Victo Novi (Vlado): “Sono persone che vivono su un pianeta chiamato Apu, che non fa parte della nostra galassia ed è distante dalla Terra parecchi milioni di anni-luce.”
Domanda dell’intervistatore: “Che sembianze hanno?”
Victo Novi: “Ci rassomigliano, ma sono fisicamente meglio proporzionati. Decidono da sé il tipo di fisico che desiderano avere; alcuni sono alti più di due metri ed altri meno di un metro cinquanta.”
Domanda dell’intervistatore: “Quando sono iniziati i vostri incontri?”
Victo Novi: “Fu nel 1960; lavoravo alla centrale idroelettrica di Huallanca, ad Ancash in Perù, come tecnico responsabile della produzione di elettricità. Una notte, mentre ero di guardia — era il 10 marzo — l’illuminazione si spense senza un motivo apparente.
Uscii per mettere in funzione il gruppo elettrogeno. Ma all’esterno c’era una luce tale che si sarebbe creduto essere pieno giorno. Proveniva da una sorta di disco posizionato sulla stretta fascia di terra che divideva i due fiumi alimentanti la centrale.
Quiroz, il responsabile della sicurezza mi suggerì di non avvicinarmi. «Bisogna lasciarli fare — mi disse — sono degli Esseri che operano molto bene nei villaggi:guariscono le persone, fanno piovere e vengono in aiuto ai più miseri».
Ero persuaso che facessero parte dell’esercito, perché per raggiungere il luogo dove si trovavano, era necessario superare un groviglio di linee e di cavi elettrici ad alta tensione. Chiesi tuttavia a Quiroz chi fossero e da dove venissero.
Con mio grande stupore, rispose: «Sono i nostri amici del pianeta Apu». Pensando che fosse ubriaco, gli intimai di lasciarmi passare e proseguii per incontrarli.
Avvicinandomi, scoprii che la luce proveniva da un oggetto ovoidale, simile ad una grossa lenticchia che non poggiava direttamente sulla terraferma ma sembrava sospeso nel vuoto a qualche centimetro dal suolo.
Malgrado la sua intensità, la luce non abbagliava. Era piacevole e quasi distensiva. Arrivando in prossimità dell’oggetto, vidi due persone che avevano l’apparenza di esseri umani di razza bianca. Erano giovani e sorridenti e portavano delle strane tute.
Mi salutarono allora nella mia lingua, il serbo, cosa che mi sorprese ma non mi convinse della loro origine extraterrestre perché, dopo tutto, numerosi uomini e donne erano capaci di esprimersi in un idioma diverso dalla propria lingua madre.
Domandai perché avevano provocato un guasto elettrico alla centrale e la loro risposta mi sbalordì. Mi dissero soltanto: «Amico caro, siamo venuti qui dallo spazio, e quando passiamo per questa galassia,  visitiamo la Terra,  fraternamente.
 
Noi non siamo venuti sulla Terra per nuocere a chicchessia, ma per aiutare i nostri fratelli terrestri, perché viviamo soltanto per soccorrere gli altri!» Mentre mi parlavano, osservai il loro veicolo e vidi che poggiava su tre enormi fasci di luce.
Dopo, risalirono a bordo per una sorta di scala che raggiungeva la parte superiore, la quale poi si ritrasse contemporaneamente ai fasci di luce. Il loro mezzo si alzò allora silenziosamente in verticale e sparì dalla mia vista in una frazione di secondo.
Rimasi immobile durante lunghi minuti, come folgorato dalla meraviglia, indi feci un mezzo giro verso la centrale. All’entrata, rincrociai Quiroz.
«Ascolti — gli domandai — per favore, può spiegarmi? Chi è atterrato là? Cosa sono venuti a fare qui? Crede che possano causarci dei problemi?»
Quiroz: «No, non tema nulla, vengono da un altro mondo assai lontano e sono degli individui molto elevati. Si recano spesso sulle alture dove i pastori conducono le loro greggi. Vengono per soccorrerli.»
I chiarimenti di Quiroz non fecero altro che aumentare la mia confusione. Provavo a convincermi che fossimo rimasti entrambi vittime di allucinazioni, che dei ricercatori operanti per l’esercito ci avessero senza dubbio ipnotizzati per utilizzarci come cavie. Ma dentro di me, sapevo bene che esisteva un’altra spiegazione…”
Domanda dell’intervistatore: “Come si è svolto il suo secondo contatto?”
Victo Novi: “Fu un mese più tardi, il 12 Aprile 1960. Si era appena fatto giorno. Il cielo era terso e il Sole cominciava ad illuminare l’orizzonte. Le alte sommità delle montagne di Ancash, per la maggior parte sconosciute ed inesplorate dall’uomo,riflettevano i dolci raggi solari sulle cime immacolate.
Questo delizioso inizio di mattino annunciava una giornata completamente idoneaalla mia gita settimanale attraverso le collinette circostanti.
Decisi di recarmi da un giovane uomo, Adrian Perez, che apparteneva alla squadra di manutenzione della centrale e, conoscendo tutti i percorsi di montagna, gli proposi di accompagnarmi.
Accettò e ci mettemmo subito in viaggio. Avevamo camminato quasi tutta la mattinata, quando raggiungemmo un altopiano isolato, a più di quattromila metri d’altezza.
Le rocce e le rupi abbondano in quel luogo, al punto che fummo obbligati a zigzagare e quindi a lasciare delle tracce al nostro passaggio per essere in grado di tornare con lo stesso itinerario, senza perderci.
Improvvisamente Adrian si fermò additandomi una piccola zona piatta, senza rocce, distante circa trecento metri, dove era posizionato un veicolo identico a quello che avevo visto il mese precedente a Huallanca di fronte alla centrale idroelettrica.
Il disco era circondato da un gregge di capre e qualche pecora. Da un lato c’era una piccola radura con parecchie persone: uomini donne e bambini. Erano dei pastori con le loro famiglie. Mi chiesi come riuscivano a sopravvivere in un luogo tanto isolato così vicini alle nevi eterne.
Egli mi disse che si trattava di un luogo particolare, perché delle astronavi pilotate dagli extraterrestri avevano l’abitudine di recarvisi regolarmente. Aggiunse che essi erano molto buoni perché avevano prestato aiuto molto spesso alla gente locale.
Paragonai le spiegazioni di Adrian Perez con quelle che mi aveva dato Quiroz l’altra volta e ne dedussi che la gente di quella regione doveva essere molto ingenua per arrivare a credere a tali assurdità.
Per me, le cose stavano diversamente: tutti erano, a loro insaputa, oggetto di azioni militari che venivano testate su di loro per mettere a punto un nuovo programma di ipnosi collettiva. Accettai, tuttavia, la proposta di Perez di raggiungerli.
Alcuni minuti più tardi arrivammo alla loro altitudine dove essi avevano costruito una piccola capanna. C’erano quattro uomini seduti davanti al fuoco, con tre donne e quattro bambini. Accanto, avevano anche i due personaggi strani nei quali mi imbattei tre settimane prima vicino alla centrale idroelettrica.
Questi sorrisero vedendoci, ma gli indios sembravano disorientati dalla nostra presenza. Uno di loro si alzò per venirci incontro e ci chiese con tono scocciato che cosa andassimo a fare in quel luogo remoto. Gli dissi che cacciavamo un puma. Ma sentii che non mi credeva.
Uno dei due extraterrestri ci salutò allora con la mano, sorridendoci e facendoci segno di sederci presso i pastori, ciò sembrò calmare colui che si era mostrato aggressivo. Ci sedemmo dunque là, di fronte al fuoco.
L’atteggiamento minaccioso dell’uomo che mi aveva posto la domanda e lo sguardo sospettoso dei suoi compagni confermò i miei foschi pensieri.
In un certo modo, gli abitanti del luogo erano in combutta con quegli estranei, e per questa ragione temevano che gli intrusi scoprissero un certo complotto o cospirazione con cui dovevano certamente essere immischiati.
Siccome era ancora giorno, ebbi il tempo di osservare bene i due «forestieri»: erano alti, longilinei e piuttosto belli.
Di primo acchito, niente permetteva di distinguerli da qualsiasi altro essere umanovivente sul nostro pianeta, se non per il fatto che si sarebbe potuto credere che appartenessero ad una razza proveniente dalla mescolanza di tutte le altre etnie ora esistenti sulla Terra.
La forma dei loro visi somigliava a quella degli arabi, i loro occhi erano blu ma leggermente obliqui come quelli del ceppo mongolo, il naso e la bocca somigliavano a quelli dei paesi nordici; la barba e la capigliatura davano loro un aspetto indù, la muscolatura del loro corpo evocava quella degli africani, e il colore della pelle era di un rosa molto pallido, come quella delle popolazioni di origine celtica.
Quello dei due extraterrestri che ci aveva dato il benvenuto sorrise di nuovo. Da questo, compresi che mi aveva letto i pensieri e che la mia riluttanza nei loro confronti non gli causava alcuna pena.
Ancora una volta, iniziò a parlare nella mia lingua natale e disse: «Sappiamo che lei non vuole considerare la possibilità che siamo giunti da un altro pianeta. Questo comportamento rivolto a noi è naturale, perché le sue cellule sono programmate per rigettarci.
 
Ma le saremmo riconoscenti se rimanesse alcuni minuti con noi per osservare bene ciò che desidereremmo mostrarle. Lei non ha alcuna ragione di avere paura, perché è armato, invece noi non lo siamo.»
Mentre mi parlava, osservai che la sua tenuta era un completo formato da una sorta di sottile passamontagna quasi trasparente, che cingeva il viso, così come da due curiosi rigonfiamenti che fungevano da scarpe.
La cintura, le caviglie e i polsi dell’uniforme avevano delle piccole tasche senza aperture. Un pettorale brillante ricopriva il torace, ornato da una bottoniera disposta su tre linee verticali, da cinque bottoni ciascuna, per un totale di quindici.
Aggiunse ancora: «Queste tute ci permettono di spostarci nello spazio senza utilizzare alcun veicolo. Ve lo dimostro.»
Quindi si alzò, sfiorando con il dito due dei bottoni suddetti. L’indumento prese a gonfiarsi all’altezza delle tasche ed egli istantaneamente si sollevò in verticale! Fece un piccolo giro nell’aria volando per parecchie centinaia di metri come un volatile, per poi ritornare!
Ero completamente sbalordito. Provai ad auto-persuadermi che anch’io ero stato ipnotizzato, ma sapevo in fondo che ciò a cui avevo assistito era molto reale.
«Come fate?» gli chiesi allora. Sorrise e mi rispose: «Queste piccole tasche che ho ai polsi, alle caviglie e intorno alla mia cintura sono sature di ioni positivi. Da quando scatta il sistema, possiamo regolare il campo gravitazionale secondo le nostre esigenze.
 
Questo ci permette di raggiungere esattamente la velocità desiderata e ci dà la possibilità di volare in orizzontale, in verticale o a zig-zag. Su Apu, il pianeta di cui siamo originari, ci spostiamo da milioni di anni grazie a questo procedimento.»
Tacque un momento, poi riprese: “Apu è situato alla periferia della Via Lattea. Noi siamo i protettori della vita degli abitanti di questa galassia.
 
Viaggiamo attraverso lo spazio per aiutare coloro che incontriamo. Non siamo qui per tentare di impressionarvi. Vogliamo semplicemente insegnarvi a fare la nostra conoscenza.”
Continuò la sua narrazione,  e  mi parlò di una gigantesca esplosione che si sarebbe prodotta un tempo su Apu, della formazione delle galassie,  dei  problemi  della Terra e degli altri pianeti, così come di molte altre cose che mi erano totalmente sconosciute e che, anche oggi, continuo ad essere incapace di spiegare con un certo raziocinio.
Cominciava ad essere tardi. Avevamo già trascorso parecchie ore in quel luogo. Era tempo per noi di congedarci.
Nel momento in cui dicevo arrivederci ai pastori, uno dei due extraterrestri si avvicinò a me, prese la mia mano e guardandomi diritto negli occhi pronunciò ad alta voce e con fervore mistico la frase: «Tutto per gli altri».
Poi, a sua volta, anche il compagno mi si accostò e fece esattamente la stessa cosa,con un slancio di gioia e di entusiasmo che appariva così potente e spontaneo da darmi qualche difficoltà a spiegarne la ragione. Quindi, chiamai Perez che parlava ancora con uno dei pastori, e cominciammo a tornare indietro verso il nostro villaggio.
Ovviamente, sulla strada del ritorno, gli posi tutti i tipi di domande su ciò che sapeva di quegli incredibili visitatori e gli domandai se pensava trattarsi veramente di extraterrestri; era quello che non potevo decidermi ad ammettere malgrado ciò che era appena accaduto.
(Perez) «Signore — mi apostrofò ad un certo punto — come può essere talmente cieco?!!! Come si spiega che così tante persone li abbiano incontrati e siano tutte arrivate alla stessa conclusione di asserire che si tratta effettivamente di extraterrestri?
È molto abituale in questi luoghi avere dei rapporti con Esseri venuti da altri mondi.Certi volano come coloro che ha appena visto. Altri hanno dei dischi ovoidali come quello che lei ha veduto al momento del vostro primo incontro.
Inoltre talvolta, certuni si spostano con l’ausilio di velivoli più piccoli, simili ad aerei con ali ripieghevoli. Gli indios li chiamano “los vientos” (i venti), perché arrivano e spariscono proprio come il vento, senza che la gente se ne accorga.»
Rappresentazioni dei “vientos” eseguiti nel secolo passato dai pastori Quechua
«Lei dice che sono più piccoli degli aerei che utilizziamo comunemente per il trasporto dei passeggeri?»
(Perez) «In effetti, hanno una grandezza molto inferiore, ed alcuni hanno ali sorprendenti. Le estraggono o le ritirano a volontà, come certi uccelli. Altri assumono la parvenza di farfalle. Ce ne sono anche di somiglianti a foglie di trifoglio.
Hanno una straordinaria velocità; appaiono e scompaiono senza che nessuno veda quando, né sappia come.
Da principio, gli stranieri hanno la medesima sua reazione, pensano che siano dei prototipi dell’esercito; ma quando li vedono spiegare o reinserire le ali per poi scorgere i loro occupanti volare come uccelli, curare i malati per guarirli da malattie insanabili, o far piovere da un cielo senza nuvole, allora iniziano, pari a me, a ritenere che siano Angeli.
E allorché si presentano come esseri venuti da un pianeta lontano — che chiamano Apu — ne restano più che convinti! Una cosa è certa, comunque, ed è che si tratta di persone altruiste e caritatevoli ogni volta che lo possono, e non hanno mai fatto un torto a nessuno. In quanto a dare una spiegazione del perché siano venuti sulla Terra, e cosa desiderino, non sono in grado di precisarlo.»
«E lei, Perez, li aveva già visti prima?»
(Perez) «Sì, certamente, e l’ultima volta risale a meno di un mese fa. Ma le persone di qui non amano molto parlarne. Temono che le autorità prendano atto della loro presenza e che la polizia cerchi di distruggerli o farli ripartire. Ed ai paesani sta veramente a cuore che questo non si produca mai!»
Finalmente rientrammo nelle nostre sedi, giusto prima che si facesse completamente notte. Turbato da questa esperienza, decisi di riposarmi e dimenticare, per qualche settimana, anche la mia passione per l’escursionismo e l’esplorazione delle vette.”
Domanda dell’intervistatore: “Come si è svolto il suo terzo contatto?”
Victo Novi: “Ogni mattina, man mano che il tempo passava, il desiderio di riprendere il mio sport preferito mi assillava sempre più. Resistetti un mese, poi scelsi di tornare verso le cime innevate delle Ande. Mi ero solo prefissato di evitare i luoghi vicini a quelli dove avevo in precedenza incontrato gli extraterrestri.
Adrian Perez era in viaggio, ma un altro collega di lavoro, un giovane chiamatoQuispe mi disse che conosceva bene la regione e domandò il permesso di accompagnarmi. Accettai la sua offerta e decidemmo d’intraprendere insieme una grande escursione la domenica successiva.
Il 15 maggio dello stesso anno, partii con lui. Notai all’istante che il mio nuovo compagno camminava sulle rocce con scioltezza e scalava i ripidi pendii con grande agilità.
Percepii che con lui avrei potuto esplorare, in giornata, molti più siti di quanti non ne avessi visitati con Perez, e questo mi piaceva. Tuttavia, al termine delle molte ore di marcia, cominciai a sentire una certa pesantezza alle gambe e gli proposi di fare una piccola sosta.
Nel momento in cui era seduto accanto a me e stavamo contemplando in lontananza lo splendore immacolato delle nevi perenni, si voltò bruscamente dalla mia parte e guardandomi dritto negli occhi, disse: «Siamo in un luogo dove si incontrano talvolta persone insolite che dicono di venire da un mondo lontano.»
«Sì. Lo so già, Quispe replicai – e sostengono di essere gli abitanti di un pianeta che chiamano Apu; viaggiano attraverso lo spazio con straordinari apparecchi che possono prendere la forma di aerei, dischi volanti, uccelli, sigari e molto altro ancora.»
«Ma come sa tutto questo, Vlado?  Chi  gliel’ha  detto?»  Si meravigliò egli.
«Nessuno me lo ha detto, Quispe, li ho visti!»
«Veramente?» esclamò, «Che fortuna ha!» E si alzò, con l’aspetto davvero sorpreso e felice. Poi aggiunse: «Se ciascuno sostituisse la parola diffidenza con il termine fiducia e il vocabolo guerra con fraternità, la Terra intera potrebbe vederli!»
Riprendemmo poi la nostra marcia, e poco tempo dopo giungemmo sul bordo di un pascolo dove c’erano mucche, pecore, capre ed anche alcuni cavalli.
Dall’altra parte della verde distesa si trovava una capanna di tronchi con un tetto di paglia. Ne usciva un fumo bianco, e davanti c’erano numerose persone sedute vicino ad un fuoco.
«Si direbbe che ci attendano per pranzare!» dissi a Quispe scherzosamente.
In quel mentre, due cani ci videro e ci vennero incontro abbaiando. Uno dei pastori si alzò allora per farli tacere e ci fece segno di raggiungere il gruppo.
Salutammo tutti e Quispe cominciò a parlare con essi in lingua quechua. Io, invece, rimasi silenzioso, accontentandomi di osservare, perché nessuno comprendeva lo spagnolo.
Ad un certo punto, dalla capanna uscirono una donna e un ragazzino, entrambi in lacrime. Quizpe chiese a questa signora perché piangesse ed ella gli spiegò che una settimana prima uno dei suoi figlioli era scivolato da una roccia.
Si era fratturato il braccio destro e parecchie costole e il suo stato sembrava peggiorare sempre più. Entrammo nella casupola per vedere il suo piccolo ragazzo. Aveva circa dieci anni e giaceva disteso su un mucchio di fieno in uno stato pietoso.
Aveva gli occhi e la bocca socchiusi. La sua lingua e le sue labbra si erano enfiate smisuratamente; il viso tumefatto aveva preso un colore violaceo. Tutto sembrava indicare che fosse già in balìa di una cancrena avanzata. Gli presi il polso per sentire le pulsazioni e il risultato confermò i miei timori.
Domandammo allora a sua madre il permesso di condurlo con noi fino alla città di Caraz affinché fosse ricoverato. Ella rifiutò categoricamente la proposta, adducendo che «gli dei erano in procinto di arrivare per guarire il suo bambino».
Mi sarei aspettato di vedere queste persone iniziare una danza o un rituale per evocare gli Spiriti quando, improvvisamente, un piccolo congegno alato scese in verticale dal cielo, senza alcun rumore, e si immobilizzò proprio accanto al fuoco, a pochi centimetri dal terreno.
Allora, tutti coloro che erano seduti intorno al falò si alzarono, ed una donna giovane e bella uscì dallo strano veicolo e ci salutò sorridendo. Portava la medesima uniforme di entrambi gli extraterrestri che avevo incontrato al tempo dei miei due precedenti contatti.
Era giunta fino a noi senza camminare sull’erba, spostandosi a brevissima altezza dal suolo! Appresi, ma un po’ dopo, che evitava di calpestare la superficie erbosa e le piante per non danneggiarne le cellule.
Entrò dunque nella casetta; prese il ragazzino nelle sue braccia e lo portò all’interno del suo apparecchio continuando sempre a sfiorare il terreno, malgrado il peso che portava. Il gruppo intorno a me si era allora inginocchiato. Io, ero talmente pietrificato da restare in piedi, finché il mio compagno non mi chiese di fare lo stesso.
In una frazione di secondo, la donna ricomparve, tenendo sempre il bimbo tra le sue braccia. Aveva ripreso colore, il suo viso non era più enfiato e sembrava in buona salute. Mi avvicinai a lui ed esaminai il suo braccio: non v’era più alcuna traccia di frattura! Era sorridente e non tardò a chiedere a sua madre qualcosa da mangiare.
Mentre osservavo il piccolo figliolo che sembrava ora perfettamente rimesso e gioioso come un fringuello, udii la speciale «infermiera dello spazio» scherzare con i paesani riuniti. Conversavano in quechua.
In quel momento, non solo comprendevo perfettamente tutto ciò che dicevano, ma avevo l’impressione di sentirli esprimere nella mia lingua originaria! Raggiunsi allora precipitosamente Quispe per interrogarlo su questo fatto.
«Sente quello che dicono?» — gli chiesi.
(Quispe) «Sì, li odo.» rispose.
«E li comprende?”
(Quispe) «Sì, molto bene.»
«Ma in quale lingua parlano?»
(Quispe) «Conversano nel loro proprio linguaggio ed anche, nel contempo, in tutti gli altri.»
«Ma come è possibile questo?»
(Quispe) «Non so, Vlado. So soltanto che una volta ci hanno detto che potevano influenzare tramite il pensiero il movimento di certi elettroni nel cervello. Quelli che sono presenti accedono, di conseguenza,  alla comprensione di tutti gli idiomi, simultaneamente.»
Ero del tutto sbalordito. La misteriosa ospite, divertita dal mio stupore, si avvicinò a me sorridendo e si presentò con il nome di Ivanka. Poi rivolgendosi all’insieme degli astanti ci chiese di rialzarci (evidentemente erano ancora in ginocchio; ndt) e ci disse:
«Noi non siamo venuti sulla Terra per essere ringraziati, retribuiti né tanto meno adorati. Siamo qui per dedicarci alla nostra sola ed unica Missione, cioè fare di tutto per aiutare gli altri.»
Le domandai perciò come fosse intervenuta su questo giovane ragazzo.
Ella rispose: «Ho prelevato le sue cellule guaste, le ho riarmonizzate, poi le ho reinserite nel suo corpo. Tutto il suo sistema cellulare è ora sano e lui è guarito.»
La terapia genica: medicina praticata da migliaia d’anni mediante gli Apuniani.
«Ma chi è dunque lei, Ivanka, per essere in grado di compiere tali prodigi?»
«Sono soltanto una Terrestre come voi che è diventata anche un’Apuniana; in effetti, ho vissuto su Apu in un periodo paragonabile a 100 dei vostri anni; ma sono dapprima una cittadina dell’Universo, e come tale, sorella di ogni Essere che vi abita.
 
Il principale compito degli Apuniani è di proteggere la vita e di aiutare tutti gli Esseri a continuare a vivere, qualunque sia il luogo dove si trovino. Non abbiamo né preferenze, né favoriti, e non avvantaggiamo mai certi individui a detrimento di altri.
 
Il nostro Amore, la nostra compassione e le nostre conoscenze sono destinate a tutti coloro che ne abbisognano e che sono pronti ad aprire il loro cuore, perché noi siamo una parte di tutto ciò che esiste nell’Universo e quindi siamo Uno con esso.
 
Non c’è niente di prodigioso in ciò che ho appena compiuto. Il concetto di “miracolo” esiste soltanto nella mente di coloro che vivono separati dall’Unità. Similmente, la durata di vita dei Terrestri potrebbe essere altrettanto lunga quanto quella degli Apuniani.
 
Vi sarebbe sufficiente accettare di organizzarvi fraternamente in maniera positiva, senza denaro, senza guerre e senza ingiustizie, formando un solo organismo umano, in seno alla Grande Famiglia Universale.»
Appariva interessata alla mia perplessità e aggiunse: «Vi mostrerò ciò che la consapevolezza dell’Unità permette di realizzare… » Poi, unendo il gesto alla parola,tracciò nell’aria un segno incomprensibile con la mano.
All’istante, davanti ai miei occhi, sette pecore del gregge si ritrovarono bruscamentetrasformate in vasi di fiori! Pensai che fossimo stati sottopposti ad una seduta di ipnosi collettiva, come al tempo del mio incontro precedente.
Ella sembrava leggere i miei pensieri e dichiarò che uno dei problemi degli esseri umani era di avere grosse difficoltà ad accettare ciò che supera il loro intendimento. Fece allora un nuovo segno con la mano e, questa volta, i vasi si tramutarono in sette colombe!
Alcuni cani si misero immediatamente a correr loro dietro per tentare di prenderle, ed io pensai: «Poveri cani; sono stati ipnotizzati come me.»
Ne disegnò un altro ancora nell’aria, e le sette pecore riapparvero in un lampo! Poi, visibilmente compiaciuta e soddisfatta dell’effetto prodotto su di noi con il suo piccolo “giro di prestidigitazione” ci invitò ad accompagnarla all’interno della sua macchina volante.
Questa volta Ivanka non fluttuava più sul prato. Camminava come noi, ma constatai che i suoi piedi non lasciavano alcuna impronta sul terreno. Sembrava concentrata sui suoi passi, come se la vita di ogni filo d’erba dipendesse dall’attenzione che poneva per non distruggerlo.
Quando arrivammo in prossimità del velivolo, notai che era sospeso a circa 70 centimetri dal suolo. Compresi quindi, intuitivamente, che questa assenza di contatto diretto con la Terra aveva ancora soltanto lo scopo di non danneggiare i fiorellini del campo che cominciavano a sbocciare in quel luogo.
Iniziai perciò ad osservare l’apparecchio. Dalla forma delle sue ali, somigliava ad un aereo, ma la sua carlinga era molto più corta. “Le ali sono ripiegabili e possono superare la velocità di un milione di chilometri al minuto” — commentò ella — mentre ci invitava a seguirla dentro l’abitacolo.
All’interno, c’era un altro occupante a cui Ivanka ci presentò. Lui ci accolse con un gesto caloroso e ci propose di sederci di fronte ad uno schermo di vetro che sembrava incorporato in una delle pareti dell’abitacolo.
E presto quel monitor cominciò a proiettare tutte le scene della mia vita che iniziarono allora a dispiegarsi ed io rividi ciò che avevo vissuto dalla mia nascita, ma in una dimensione strana, come se la natura, le persone, gli alberi e gli animali esistessero realmente.
Vedevo tutto nei minimi dettagli. Avevo l’impressione di poter toccare ogni cosa, se ne avessi avuto il desiderio.
Osservai la mia venuta in questo mondo, l’infanzia e la gioventù, poi i particolari di un gran numero di sequenze intime della mia esistenza che nessuno avrebbe potuto filmare, essendo il solo a conoscerle.
Vidi anche altri contesti dove non ero stato direttamente protagonista ma che mi toccavano nel profondo. In maggioranza erano fatti accaduti durante la seconda guerra mondiale. Scorsi un gran numero di amici scomparsi, i luoghi e i modi in cui erano trapassati.
Assistetti all’esilio dei miei genitori in America del sud. E ad un certo punto, rividi me stesso a fianco di Quispe, dei pastori e della donna eccezionale.
Davanti a me sfilarono tutti i pensieri negativi che avevo formulato nei confronti di quegli Esseri, associati ad immagini diverse, fino al momento speciale in cui le pecore, i vasi e le colombe si erano trasformate sotto i nostri occhi.
Dopo, mi venne mostrata la Nascita e la Vita di Gesù ed anche quella degli Apuniani all’epoca in cui si erano insediati nella regione del lago Titicaca. (Per approfondire, documentarsi QUI e QUI; ndt).
Li osservai mentre introducevano in tale regione embrioni di animali originari del loro pianeta. È per questo motivo che esiste una strana fauna sul lago, come le rane giganti che sono state scoperte recentemente e studiate da una squadra di scienziati francesi.
Rana gigante del lago Titicaca che può raggiungere anche 80 cm.
Huape rosso dei contrafforti andini.
Dopo questo, Ivanka mi lanciò un sguardo acceso da un’immensa compassione e disse: «Come ci si sente felici ogni volta che si può fare del bene al prossimo e collaborare ad alleggerire la sua sofferenza!»
E fu allora che cominciai a comprendere la bontà di questi forestieri, molto lontana da ciò che avevo presunto su di loro.
Se gli stessi fossero stati dei Terrestri e avessero avuto la cognizione, proprio come hanno, della mia diffidenza e delle ipotesi assurde da me elaborate su di loro,sarebbero rimasti certamente offesi da quell’ondata negativa di cui ero, davvero, l’unico responsabile.
Dunque, non solo ciò non sembrava urtarli, ma al contrario, la mia reazione aveva provocato in essi un vivo compiacimento, come se al posto della mia sfiducia avessi apportato loro un bouquet di fiori.
Questo, dovuto al mio tentativo d’aver provato soltanto a scoprire la verità che li riguardava e che pareva aver suscitato la loro ammirazione.
Giunsi  a concludere che nessun umano avrebbe reagito in  modo tanto  nobile, e che tale sublime contegno non poteva essere che la prerogativa di Esseri straordinariamente evoluti, interamente guidati dal concetto più elevato dell’Amore:  l’Amore di  tutto ciò  che  è  e di tutto ciò che vive,  l’Amore Universale.
E per la prima volta accettai l’idea che questi visitatori fossero realmente originari di un pianeta lontano dove non esistono egoismo, paura, aggressività, menzogna, e intimamente, chiesi loro perdono.”
Domanda dell’intervistatore: “Qual è il più importante messaggio degli Apuniani, Vlado?”
Victo Novi: “Essi non conoscono né odio, né guerra, e sanno come mutare la negatività in energia positiva. Sono amici di tutti gli Esseri che popolano l’Universo.
Amano anche i più crudeli ed egoisti, e se qualcuno vuole fare loro del male, sono capaci di trasformare i suoi pensieri negativi in espressioni d’Amore. Per questo, il loro motto è: “Tutto per gli altri.” Ed è pure il più sublime dei principi!”
Plateau di Markawasi – Perù
Plateau di Markawasi – Perù
Domanda dell’intervistatore: “Lei ha ancora rapporti con essi?”
Victo Novi: “Ne ho qualche volta. Ma chiunque può averne. Basta tranquillizzarsi interiormente e chiedere la loro venuta. In realtà, noi ne incrociamo tutti i giorni, perché sono capaci di assumere qualsiasi forma e di apparire con i tratti di qualunque essere.
Possono prendere le parvenze di Europei, di Bianchi, di Neri, di Asiatici perché si preoccupano solo di rivestire al meglio l’aspetto visibile più adatto alla loro mutua Missione.”
Presentazione e trascrizione di Olivier di Rouvroy
GLI APUNIANI, FANTASTICA RAZZA ET VIVENTE IN PERÙ.ultima modifica: 2017-04-05T18:20:00+02:00da subbuteo63
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