Gentili Lettori, vi riporto pari pari la presentazione apparsa sul retro della copertina di un piccolo volume, primo di tre, che ho letto qualche anno fa e che vorrei farvi conoscere per il suo contenuto entusiasmante, scorrevole ed istruttivo, sia per i bimbi che per gli adulti “sensibili”.
Vi affascinerà… e siccome per evidenti motivi non posso pubblicarlo interamente, vi propongo i due capitoli iniziali, segnalandovi questo
LINK, per proseguire la lettura od appropriarvene tramite download.
AMI – Un Amico dalle Stelle
“Quest’opera di Enrique Barrios comincia a circolare in Cile nel 1986. Nel giro di tre anni il libro arriva alla 16ª edizione, diventando il più venduto.
Insegnanti ed educatori di molti Paesi lo adottano come testo di studio per il messaggio straordinario che trasmette: l’incontro di un bambino con un extraterrestre che gli mostra qual è la vera Legge che regola l’Universo e che dovrebbe ispirare le nostre esistenze.
È l’inizio di un viaggio meraviglioso che porta il protagonista a conoscere i mille misteri che si trovano nello spazio e dentro ogni persona, per scoprire che in fondo non sono poi così impenetrabili, basterebbe infatti liberare il cuore alato che è in ognuno di noi.
Alcuni anni più tardi una copia del libro viene recapitata a Sua Santità Giovanni Paolo II che dopo averlo letto invia una benedizione all’autore per l’annuncio d’Amore Universale contenuto nell’opera, sebbene non si tratti di un testo religioso.”
Non è facile scrivere un libro quando non si è scrittori, tanto meno quando non si è ancora grandi, ma devo farlo perché me lo ha chiesto un amico venuto dalle stelle: Ami.
Qui racconterò le stupefacenti ed incredibili esperienze che ho potuto vivere al suo fianco. Lui mi ha spiegato che in mondi progrediti come il suo, “adulto” o “vecchio” significa “persona che ha perso il contatto con la magia della vita”, e che ci sono “vecchi” di quindici anni e “bambini” di cento…
Mi ha anche avvertito che gli “adulti” non avrebbero accolto questa informazione,perché per loro è più facile credere alle cose orribili, anche se false, piuttosto che alle cose meravigliose, anche se vere.
Per questo preferiscono continuare con gli “incubi” nei quali vivono e non amano essere svegliati. Per evitarmi problemi, mi ha raccomandato di dire che tutto questo è fantasia, una favola. Quindi gli darò retta: questa è una favola…
Avvertenza (diretta solo agli adulti):
“Non continuate a leggere, non vi piacerà…
quello che viene adesso è sublime.”
Tutto cominciò una sera dell’estate scorsa in un piccolo e tranquillo paese della costa, dove vado in vacanza con la mia nonnina quasi tutti gli anni. Quella volta avevamo affittato una casetta di legno: c’erano diversi pini e molti arbusti nel cortile, e davanti, un giardino pieno di fiori.
Si trovava in periferia, vicino al mare, lungo un sentiero che portava alla spiaggia.Alla mia nonnina piace andare in vacanza alla fine dell’estate, quando non c’è più tanta gente: dice che è più tranquillo e costa meno. Cominciava ad imbrunire: io ero sugli alti scogli vicini alla spiaggia solitaria e stavo contemplando il mare.
Improvvisamente vidi nel cielo una luce rossa, proprio sopra la mia testa: pensai che si trattasse di un bengala o di uno di quei razzi che si lanciano a Capodanno. Stava scendendo, cambiava colore e mandava scintille.
Quando si abbassò, capii che non era un bengala, né un razzo, perché ingrandendosiarrivò ad avere le dimensioni di un piccolo aeroplano, o di qualcosa di ancora più grande… Cadde in mare a una cinquantina di metri dalla riva, davanti a me, senza emettere alcun suono.
Pensai di essere stato testimone di un disastro aereo e cercai con lo sguardo un paracadutista nel cielo: non c’era nessuno. Nulla turbava il silenzio e la tranquillità della spiaggia. Ebbi molta paura e volevo correre a raccontarlo a qualcuno, ma aspettai un po’ per vedere se distinguevo ancora qualcosa.
Quando stavo per andarmene, apparve qualcosa di bianco che fluttuava nel punto in cui era caduto l’aereo, o qualunque cosa fosse: qualcuno veniva a nuoto verso gli scogli. Pensai si trattasse del pilota che si era salvato dall’incidente ed aspettai che si avvicinasse per cercare di aiutarlo.
Siccome nuotava agilmente, compresi che non era ferito in malo modo. Quando si avvicinò di più, mi resi conto che si trattava di un bambino; arrivò agli scogli e prima di cominciare a salire mi sorrise e mi guardò amichevolmente.
Pensai che fosse felice di essersi salvato; la situazione non sembrava drammatica per lui e questo mi calmò un poco. Arrivò in cima alla scogliera, si scrollò l’acqua dai capelli, ammiccò allegramente in segno di complicità e questo mi tranquillizzò definitivamente.
Venne a sedersi su una sporgenza della roccia, vicino a me, sospirò con rassegnazione e si mise a guardare le stelle che cominciavano a brillare nel cielo.
Sembrava press’a poco della mia età, forse un po’ più giovane e più basso, indossava un abito bianco aderente, fatto di qualche materiale impermeabile dato che non era bagnato, e il suo abbigliamento era completato da un paio di stivaletti bianchi con la suola spessa.
Sul petto aveva un simbolo dorato: un cuore alato. II cinturone, dello stesso colore, aveva su ogni lato degli strumenti simili a radioline portatili e al centro una grande fibbia, brillante e molto bella. Mi sedetti vicino a lui e rimanemmo alcuni istanti in silenzio.
Siccome non parlava, gli chiesi che cosa gli fosse successo. “Atterraggio forzato” ‒rispose ridendo. Era simpatico, aveva un accento abbastanza strano e i suoi occhi erano grandi e pieni di bontà. Pensai che fosse venuto da un altro paese con l’aereo.
Siccome era un bambino, pensai che il pilota dovesse essere una persona più grande.”Cos’è accaduto al pilota?” ‒ chiesi. “Niente, è qui seduto accanto a te.” ‒ “Ah!” Rimasi stupito. Quel bambino era un fenomeno: alla mia età, già pilotava gli aerei! Immaginai che i suoi genitori fossero molto ricchi.
Stava arrivando la notte e infreddolii. Lui se ne accorse, perché mi chiese: “Hai freddo?” “Sì” “La temperatura è gradevole” ‒ mi disse sorridendo. Sentii che realmente era così. “È vero” risposi.
Dopo qualche minuto gli domandai che cosa avrebbe fatto. “Porterò a termine la mia missione” ‒ rispose senza smettere di guardare il cielo. Pensai di avere di fronte un bambino importante, non come me, che ero solo uno studente in vacanza.
Lui aveva una missione… forse qualcosa di segreto?… Non osai chiedergli di che cosasi trattasse… ma al tempo stesso era un bambino… Tutto mi sconcertava in lui. “Non si arrabbieranno i tuoi genitori, quando sapranno che l’aereo che ti avevano comperato è andato distrutto?”
“Ma non si è distrutto!” ‒ rispose ridendo e mi lasciò ancora più perplesso.
“Non è perduto, non si è rotto completamente?”
“No.”
“Come si può tirarlo fuori dall’acqua per ripararlo… o non si può?…”
“Oh, certo! Si può tirarlo fuori dall’acqua.”
Mi osservò con simpatia e aggiunse: “Come ti chiami?” ‒ “Pierre” risposi, ma qualcosa cominciava a non piacermi: non rispondeva chiaramente alle mie domande e cambiava argomento. Faceva il misterioso…
Si accorse della mia irritazione e questa lo fece ridere. “Non prendertela, Pierre, non arrabbiarti… Quanti anni hai?” ‒ “Dieci… quasi. E tu?” Rise molto dolcemente, la sua risata mi ricordò quella di un bimbetto quando gli fanno il solletico.
Mi sembrò che si sentisse superiore a me, dato che pilotava un aereo e io no. Questo non mi piaceva, però era simpatico, gradevole, non riuscivo a prendermela seriamente con lui. “Ho più anni di quelli che pensi” ‒ affermò sorridendo allegramente.
Prese dal cinturone uno di quegli apparecchi che sembravano radio: era un calcolatore, lo accese ed apparvero dei segni luminosi, a me sconosciuti. Fece dei calcoli e vedendo il risultato si mise a ridere più forte e disse: “No, no… se te lo dicessi, non mi crederesti…”
Arrivò la notte ed apparve una splendida luna piena che illuminava il mare e tutta la spiaggia. Mi piacevano sempre meno gli enigmi di quello strano bambino… o quello che era. Guardai il suo viso con attenzione: non poteva avere più di otto anni, tuttavia sembrava averne molti di più, e pilotava un aereo… Che fosse un nano?
“C’è gente che crede agli extraterrestri…” accennò distrattamente. Malgrado questa osservazione mi sembrasse strana, qualcosa mi disse che c’era la soluzione di quel mistero.
Pensai un bel po’, prima di aprir bocca. Mi osservava con quei suoi occhi pieni di luce, sembrava che le stelle della notte si riflettessero nelle sue pupille: appariva troppo bello per essere vero.
Ricordai il suo aereo in fiamme che cadeva in mare e che, secondo lui, non era rotto… questo era molto strano, come il suo modo di apparirmi davanti, il suo calcolatore con quegli strani segni, il suo accento, il suo abito: inoltre, era un bambino e noi bambini non pilotiamo aerei…
“Sei un extraterrestre?” Chiesi con un certo timore. “E se lo fossi… avresti paura?”
Fu allora che capii che veniva veramente da un altro mondo. Mi spaventai un poco, ma il suo sguardo era pieno di bontà.
“Sei cattivo?” Chiesi timidamente. Lui rise divertito. “Forse tu sei più cattivello di me…” ‒ “Perché?” ‒ “Perché sei terrestre.”
Compresi che intendeva dire che noi terrestri non siamo molto buoni: questo mi diede un po’ fastidio, ma per il momento preferii ignorarlo. Decisi di essere molto cauto con quello straniero. “Sei veramente un extraterrestre?”
“Non spaventarti” mi confortò sorridendo, ed indicò le stelle continuando: “Questo Universo è pieno di vita… milioni e milioni di pianeti sono abitati… C’è molta gente buona, lassù…”
Le sue parole avevano uno strano effetto su di me, perché nel frattempo io potevo “vedere” quei milioni di mondi abitati da gente buona. Mi passò la paura e decisi di accettare senza sorprendermi che lui fosse un essere di un altro pianeta, soprattutto perché sembrava amichevole ed inoffensivo.
“Perché dici che noi terrestri siamo cattivi?” Chiesi. Lui continuava a guardare il cielo. “Com’è bello il firmamento visto dalla Terra… Questa atmosfera gli conferisce una lucentezza… un colore…”
Mi irritai nuovamente, non mi stava rispondendo un’altra volta e inoltre non mi piace che mi ritengano cattivo, perché non lo sono; anzi, a quel tempo io da grande volevo fare l’esploratore e dare la caccia ai cattivi nei momenti liberi…
“Là, nelle Pleiadi, c’è una civiltà meravigliosa…”
“Non tutti siamo cattivi, qui…”
“Guarda quella stella… era così un milione di anni fa… non esiste più…”
“Ti ripeto che non siamo tutti cattivi, qui. Perché hai detto che siamo tutti cattivi?Eh?”
“Io non ho detto questo” ‒ rispose senza smettere di guardare il cielo. Lo sguardo gli brillava. “È un miracolo…”
“SÌ, L’HAI DETTO!” Quando alzai la voce, riuscii a tirarlo fuori dai suoi sogni: era come una mia cugina quando contempla la foto del suo cantante preferito, è pazza di lui. Mi guardò attentamente, ma non sembrava arrabbiato con me.
“Volevo dire che alcuni terrestri, di solito, sono meno buoni degli abitanti di altri mondi dello spazio.”
“Vedi? Stai dicendo che siamo i più cattivi dell’Universo!”
Rise di nuovo e mi accarezzò i capelli. “Non volevo neanche dire questo, Pierre.”
Questo mi piacque ancora meno. Ritrassi la testa: mi dà fastidio che mi considerino uno scemo, perché sono uno dei primi della classe e inoltre sto per compiere dieci anni… “Se questo pianeta è così cattivo, allora che cosa ci fai qui?”
“Hai notato come la luna si specchia sul mare?” Continuava ad ignorarmi e a cambiare argomento.
“Sei venuto a dirmi di prestare attenzione al riflesso della luna?”
“Forse… Ti sei accorto che stiamo fluttuando nell’Universo?”
Quando mi disse così, credetti di comprendere la verità: quel bambino era pazzo.Certo! Si credeva un extraterrestre, per questo parlava di cose tanto assurde. Volevo andarmene a casa, mi sentivo male per aver creduto alle sue storie fantastiche.
Forse mi aveva preso in giro… Extraterrestre… e io gli avevo creduto! Mi vergognai, mi arrabbiai con me stesso e con lui. Mi venne voglia di dargli un bel pugno sul naso.
“Perché, è così brutto il mio naso?…”
Rimasi paralizzato, ebbi paura. Mi aveva letto nel pensiero?… Lo guardai e sorrideva trionfante. Ma non volevo arrendermi, preferivo pensare che fosse stato un caso, una coincidenza fra quello che io avevo pensato e quello che lui aveva detto.
Non mi mostrai sorpreso, forse era vero, ma dovevo verificarlo. Forse avevo di fronte un essere di un altro mondo, un extraterrestre che poteva leggere il pensiero… O forse avevo davanti un pazzo… Decisi di fare una prova.
“Che cosa sto pensando adesso?” Chiesi, e mi immaginai una torta di compleanno.
“Non ti bastano le prove che hai già?” ‒ domandò.
Io non ero disposto a cedere di un millimetro. “Quali prove?”
Allungò le gambe ed appoggiò i gomiti sulla roccia. “Vedi, Pierre, c’è un altro tipo di realtà, altri mondi più sottili, con porte sottili per intelligenze sottili…”
“Che cosa significa «sottili»?”
“Con quante candeline?…” ‒ chiese sorridendo.
Fu come un pugno allo stomaco. Mi venne voglia di piangere, mi sentivo stupido e maldestro. Gli chiesi scusa, ma non si era risentito, non ci badò e si mise a ridere.Decisi che non avrei più dubitato di lui.
“Vieni a riposarti a casa mia” ‒ proposi, perché era già sera.
“Non coinvolgiamo gli adulti nella nostra amicizia” ‒ disse ‒ arricciando il naso mentre sorrideva.
“Ma io devo andarmene…”
“La tua nonnina dorme profondamente, non sentirà la tua mancanza se parliamo un pochino.”
Di nuovo mi sorprese e destò la mia ammirazione: come sapeva della mia nonnina?… Allora ricordai che era un extraterrestre… e che poteva conoscere i miei pensieri…
“Non solo questo, Pierre” ‒ disse ‒ leggendo la mia mente, “ho anche visto dalla mia nave che era sul punto di addormentarsi…”
Poi esclamò entusiasta:
“Andiamo a passeggiare sulla spiaggia!” Si alzò di scatto, corse verso il ciglio dell’altissimo scoglio e… si lanciò nel vuoto!…
Pensavo che si sarebbe ucciso: corsi a guardare pieno di angoscia. Non riuscivo a credere a quello che vedevo: scendeva lentamente, planando con le braccia stese nell’aria, come un gabbiano!
Immediatamente ricordai che non dovevo sorprendermi troppo per quello che facevaquell’allegro e straordinario bambino delle stelle. Scesi dalla roccia come potei, con grande attenzione e mi unii a lui sulla spiaggia.
“Come fai?” Chiesi, riferendomi al suo incredibile atterraggio.
“Sentendomi un uccello” rispose e si mise a correre allegramente fra il mare e la sabbia. Pensai che mi sarebbe piaciuto fare come lui, ma non riuscivo a sentirmi così libero e allegro.
Aveva di nuovo percepito il mio pensiero. Venne vicino a me per incoraggiarmi e disse con grande entusiasmo:
“Andiamo a correre e saltare come passeri!”
Mi prese per mano e sentii una grande energia: cominciammo a correre per la spiaggia.
“Ora… saltiamo!”
Lui riusciva ad alzarsi molto più di me e mi spingeva verso l’alto con la mano.Sembrava che rimanesse sospeso nell’aria alcuni istanti, prima di cadere sulla sabbia. Continuavamo a correre ed ogni tanto facevamo un salto.
“Siamo uccelli, siamo uccelli!” Mi incoraggiava, mi inebriava.
Poco a poco smisi di pensare come al solito, cominciai a cambiare, non ero più quello di sempre. Animato dal bambino extraterrestre, mi decisi ad essere leggero come una piuma, stavo a poco a poco accettando l’idea di essere un uccello.
“Adesso… su!”
Constatai stupito che cominciavamo a librarci in aria per alcuni istanti. Ricadevamo dolcemente e continuavamo a correre, per poi sollevarci di nuovo: ogni volta lo facevamo meglio, era stupefacente…
“Non sorprenderti… tu puoi… adesso!”
Ad ogni tentativo era più facile riuscirci. Stavamo correndo e saltando come al rallentatore sulla riva, sotto il cielo pieno di stelle e con la luna. Sembrava un altro modo di essere, un altro mondo.
“Con amore per il volo!” Mi incoraggiava. Dopo un po’ lasciò andare la mia mano.
“Tu puoi, sì, puoi!” Non smetteva di trasmettermi fiducia, mentre correva al mio fianco.
“Adesso!” Ci alzavamo lentamente, ci libravamo nell’aria per parecchi secondi e cominciavamo a scendere molto dolcemente, quasi planando, con le braccia tese.
“Bravo, bravo!” Si congratulava. Non so per quanto tempo giocammo quella notte: per me fu come un sogno. Quando mi sentii stanco, mi gettai sulla sabbia, ansando e ridendo felice. Era stato fantastico, un’esperienza indimenticabile.
Non lo dissi, ma in cuor mio ringraziai il mio strano amichetto per avermi permesso di realizzare cose che ritenevo impossibili. Non sapevo ancora niente delle sorprese che mi aspettavano quella notte…
Le luci di uno stabilimento balneare più grande brillavano sull’altro lato della baia.Il mio amico contemplava deliziato i mobili riflessi sulle acque notturne, estasiato, steso sulla sabbia inondata dal chiarore lunare. Poi si entusiasmava guardando la luna piena.
“Che meraviglia… non cade!” ‒ rideva ‒ “questo tuo pianeta è bellissimo!”
Io non avevo mai pensato che lo fosse, ma adesso che lo diceva lui… sì, era bello avere le stelle, il mare, la spiaggia, e una luna così bella sospesa lì… e per di più, non cadeva…
“II tuo pianeta, non è bello?” Chiesi.
Sospirò profondamente, guardando un punto nel cielo, alla nostra destra.
“Oh, sì, anche lui lo è, ma tutti noi lo sappiamo e ne abbiamo cura…”
Ricordai che aveva insinuato che noi terrestri non siamo troppo buoni. Credetti di comprendere uno dei motivi: noi non apprezziamo il nostro pianeta, non ne abbiamo cura, mentre essi lo fanno con il loro.
“Come ti chiami?” La mia domanda lo fece ridere.
“Non te lo posso dire.”
“Perché, è un segreto?”
“Macché! E solo che non esistono nella tua lingua quei suoni.”
“Quali suoni?”
“Quelli del mio nome.”
Questo mi sorprese, avevo pensato che parlasse la mia lingua, anche se con un altro accento; ma subito ricordai che se sulla Terra ci sono cento o mille lingue e dialetti differenti, nel resto dell’Universo ce ne dovrebbero essere milioni.
“Allora, come hai imparato a parlare la mia lingua?”
“Non la parlerei e non la comprenderei… se non avessi questo” ‒ rispose ‒ mentre prendeva un apparecchio dal suo cinturone.
“Questo è un «traduttore». È uno strumento che esplora il tuo cervello alla velocità della luce e mi trasmette quello che vuoi dire: così posso comprenderti, e quando devo dire qualcosa, mi fa muovere le labbra e la lingua come faresti tu… beh… quasi come te. Niente è perfetto…”
Ripose il «traduttore» e si mise a contemplare il mare, mentre si stringeva le ginocchia, seduto sulla sabbia.
“È così che sei al corrente di quello che penso?”
“Certo, anche se sto facendo progressi nelle mie pratiche di telepatia.”
“Allora, come posso chiamarti?” ‒ gli chiesi.
“Puoi chiamarmi «Amico», perché è questo che sono: un amico di tutti.”
Ci pensai un po’ e mi venne un’idea molto carina:
“Ti chiamerò «Ami», è più corto e sembra un nome.”
Mi guardò con allegria e poi esclamò: “È perfetto, Pierre!…” e mi abbracciò. Sentii che in quel momento si stava suggellando una nuova amicizia, molto speciale. E così sarebbe stato…
“Come si chiama il tuo pianeta?”
“Boh… nemmeno. Non c’è il suono equivalente, ma sta da quelle parti” e indicò sorridendo alcune stelle.
Mentre Ami osservava il cielo, io mi misi a pensare ai film di invasori extraterrestri che avevo visto tante volte alla televisione e al cinema.
“Quando ci invaderete?” La mia domanda lo fece ridere.
“Perché pensi che invaderemo la Terra?”
“Non saprei… nei film gli extraterrestri invadono la Terra… Tu sei uno di quelli?”
Questa volta la sua risata fu così allegra, che mi contagiò. Poi cercai di giustificarmi:
“…È che alla tele…”
“Certo, la televisione!… Vediamone una sugli invasori!” ‒ disse entusiasta, mentre dalla fibbia del suo cinturone estraeva un altro apparecchio. Premette un bottone ed apparve uno schermo illuminato. Era un piccolo televisore a colori, molto nitido e cambiava canale rapidamente.
La cosa più sorprendente era che in quella zona arrivavano poche stazioni, ma nell’apparecchio ne stavano apparendo una moltitudine: film, programmi in diretta, notiziari, comunicati commerciali, tutti in lingue differenti e per persone di diverse nazionalità.
Come poteva vedere tante stazioni senza essere collegato a nessuna trasmissione via cavo?… “Le storie degli invasori sono molto ridicole” ‒ diceva Ami divertito.
“Con quanti canali puoi sintonizzarti?”
“Con tutti quelli che stanno trasmettendo in questo momento nel tuo pianeta…questo riceve i segnali captati dai nostri satelliti, invisibili a voi. Certo, sono più piccoli di una moneta… Qui ce n’è uno in Australia, guarda!”
Apparvero degli esseri con la testa di polipo e molti occhi sporgenti solcati da venuzze rosse. Sparavano raggi verdi contro una moltitudine di atterriti esseri umani.Il mio amico sembrava divertirsi con quei film.
“Che stupidaggini! Non ti sembra comico, Pierre?”
“No, perché?”
“Perché quei mostri non esistono che nella deformata immaginazione di chi ha inventato queste pellicole…”
Non mi convinse. Avevo trascorso troppi anni a vedere ogni genere di esseri spaziali perversi e spaventosi perché lui potesse cancellarli d’un tratto.
“Ma se proprio qui sulla Terra ci sono iguana, coccodrilli, polipi… perché non possono esistere esseri bruttissimi negli altri mondi?”
“Ah, quelli. Sì, ci sono, ma non costruiscono pistole a raggi, sono come quelli di qui: animali. Non sono intelligenti.”
“Ma forse esistono mondi con esseri intelligenti e malvagi…”
“«Intelligenti malvagi»!… È come dire «buoni cattivi», «grassi magri», «belli brutti»”‒ Ami rideva a pieni polmoni.
Non riuscivo a comprendere. E quegli scienziati pazzi e perversi che inventano armiper distruggere il mondo, contro i quali combattono i super-eroi dei cartoni animati? Ami percepì il mio pensiero e spiegò:
“Quelli non sono intelligenti: sono folli.”
“Bene, allora è possibile che esista un mondo di scienziati pazzi che potrebbero annientarci…”
“A parte quelli della Terra… è impossibile.”
“Perché?”
“Perché i pazzi distruggono sé stessi prima di arrivare al livello scientifico necessarioper poter lasciare i loro pianeti e andare ad invadere altri mondi.”
Non gli credevo troppo, pensavo che potessero esistere dei pianeti abitati da individui che non sono tanto pazzi… cioè gente intelligente, fredda, scientifica ed efficiente e al tempo stesso malvagia, crudele… Lui, naturalmente, riuscì a vedere quello che stavo pensando e questo lo fece molto ridere.
“E dove sono quei mostri così freddi e perversi che non sono mai venuti a distruggere nessuna civiltà terrestre?…” ‒ Mi chiese con espressione innocente.
Io pensai un po’ prima di rispondere… e non trovai alcun indizio di malvagità extraterrestre nella nostra storia. “Beh… non so… ma ci dovrà pur essere una prima volta…”
“«Dovrà»… questo vuol dire che, pur senza avere una solida base, sei assolutamente sicuro della ferocia dei tuoi vicini dello spazio… Paranoia cosmica!” Esclamò, e si mise a ridere.
Trovai che aveva ragione, anche se comunque non ero così certo dell’«innocenza» di tutti gli abitanti dello spazio esterno. Pensavo che ce ne fossero di buoni, come Ami, ed anche di cattivi, come succede sulla Terra.
Lui cercò di tranquillizzarmi:
“Credimi, Pierre, nell’Universo ci sono dei «setacci» che non lasciano passare ciò che non è buono. Lassù non è uguale a quaggiù. Da un certo punto in avanti, non ci sono più orrori. I difetti che deve superare la gente di là non sono «grossi» come quelli di qua.”
“Sei sicuro che non ci sia nessuna civiltà scientificamente avanzata, ma crudele?”
“Posso dirti soltanto che è di gran lunga più facile arrivare a conoscere la tecnologia necessaria alla costruzione di bombe che di navi inter-galattiche, e se una civiltà non ha né saggezza, né bontà e raggiunge un alto grado scientifico, presto o tardi lo userà contro sé stessa, molto prima di poter partire per altri mondi… per nostra fortuna…”
“Ma in qualche pianeta potrebbero sopravvivere, per caso…”
“Caso? Nella mia lingua non esiste questa parola. Che significa caso?”
Dovetti fare vari esempi perché comprendesse. Quando ci riuscii, si mise a ridere.Disse che l’Universo è il riflesso di un Ordine Superiore perfetto e niente è casuale,perché tutto è collegato.
“Ma se ci sono tanti milioni di mondi, potrebbero sopravvivere alcuni spietati senza distruggersi” ‒ io continuavo a pensare alla possibilità di invasori.
Ami cercò di farmi comprendere: “Immagina che molte persone debbano prendere una sbarra di ferro incandescente, una alla volta, con le mani nude: che probabilità ci sono che una non si scotti?”
“Nessuna: tutti si scottano” ‒ risposi.
“Allo stesso modo, tutti gli esseri incoscienti di fronte all’amore si auto-distruggono,se raggiungono un alto livello tecnologico e non riescono a superare la durezza del loro cuore. In altre parole, quando il grado scientifico di un mondo supera troppo il suo livello di amore, quel mondo si auto-annienta.”
“Livello di amore?” Potevo capire benissimo cos’è il livello scientifico di un pianeta,ma non comprendevo che cosa fosse il “livello di amore”.
“L’amore che irradiano gli esseri umani di un mondo può essere misurato dai nostri strumenti” ‒ disse.
“Davvero?”
“Certo, perché l’amore è un’energia, una forza, una vibrazione, e se il livello d’amore di un pianeta è basso ne scaturiscono odio, violenza, divisione, guerre, infelicità generale e contemporaneamente ne deriva un alto grado di capacità distruttiva… Mi comprendi, Pierre?”
“In generale, no. Che cosa vorresti dire?”
“Devo dirti molte cose, ma andiamo avanti un po’ per volta: cominciamo dai tuoi dubbi.”
Io ancora non riuscivo a credere che non esistessero mostri invasori. Gli raccontai di un film nel quale degli “extraterrestri lucertola” dominavano molti pianeti perché erano molto ben organizzati.
Lui disse: “Senza bontà non può esistere un’organizzazione duratura e in questo caso si deve obbligare, costringere, o “lavare il cervello”, ma siccome presto o tardi tutte le creature cercano la libertà, la saggezza e l’amore, alla fine ci saranno ribellione, divisione e distruzione.
Esiste una sola forma universale e perfetta di pianificazione, in grado di garantire la sopravvivenza: si raggiunge naturalmente quando una civiltà si avvicina alla saggezza, quando evolve. I mondi che vi arrivano sono pacifici, non fanno male a chicchessia. Non esiste nessun’altra alternativa in tutto l’Universo. Un’Intelligenza più grande della nostra ha inventato tutto questo…”
In seguito riuscì a spiegarmelo meglio, ma per il momento io continuavo con i miei dubbi sugli esseri intelligenti e malvagi.
“Troppa televisione!” esclamò Ami, quindi aggiunse: “I mostri che immaginiamo sono dentro noi stessi. Finché non li abbandoneremo, non meriteremo di raggiungere tutte le meraviglie dell’Universo che sono in attesa dell’elevazione del nostro sguardo per rivelarsi ai nostri occhi…”
“A volte faccio fatica a comprenderti, Ami.”
“I malvagi non sono né intelligenti, né belli.”
“Ma… e quelle donne belle e cattive che ci sono nei film?”
“O non sono belle, o non sono cattive.”
“Io ne ho viste alcune che erano cattive, ma al tempo stesso si presentavano bene…”
“Può darsi che per te si presentassero bene, all’esterno, ma all’interno?… Per noi, la vera bellezza deve essere unita all’intelligenza e all’amore: se non è così, non la consideriamo bellezza.”
Non ero molto d’accordo con il suo modo di vedere le cose, ma non dissi niente. ‒”Esiste altra gente cattiva nell’Universo, a parte quella della Terra?”
“Certamente, anche peggiore. Ci sono mondi nei quali tu non potresti sopravvivere neanche mezz’ora… Come qui sulla Terra un milione di anni fa… Esistono mondi abitati da veri mostri…”
“Vedi, vedi?” Esclamai trionfante, “tu stesso lo riconosci, avevo ragione io, mi riferivo proprio ad essi…”
“Ma non ti preoccupare: quelli stanno «sotto», non «sopra», abitano mondi più arretrati di questo, le loro rozze menti non permettono loro di conoscere nemmeno la ruota, quindi non arriveranno fin qui…”
Questo era tranquillizzante.
“Allora, dopo tutto, non siamo noi terrestri i più cattivi dell’Universo…”
“No, ma tu sei uno dei più tonti della galassia!” Ridemmo da buoni amici…
Tratto da: “Un Amico dalle Stelle” di Enrique Barrios. ‒ Il Punto d’Incontro Edizioni.