Gli “Ultimi Uomini”: la profezia di Nietzsche

Il filosofo tedesco, vissuto nell’Ottocento, non smette di essere più contemporaneo dei contemporanei. La profezia di Zarathustra colpisce al cuore il nostro presente.

“Dunque parlerò loro di quanto v’è di più spregevole: e questo è l’ultimo uomo”. Nella prefazione del “Così parlò Zarathustra“, dopo aver annunciato l’avvento dell’ “oltreuomo”, Nietzsche ne disegna il contrario. Angosciato, dipinge non l’uomo destinato a superare se stesso, destinato a diventare una stella che danza, ma si concentra invece sulla generazione “dell’ultimo uomo”.

Quest’ultimo assomiglia in maniera sempre più inquietante all’umanità verso la quale andiamo incontro in questo esatto momento storico. L’ultimo uomo è “una creatura apatica senza passioni né impegni” come lo definisce il filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Žižek: “incapace di sognare e stanco della vita. L’ultimo uomo non corre rischi e cerca solo comodità, sicurezza e tolleranza reciproca”.

Queste tre cose sono l’unico e sacro obiettivo che i popoli del nostro tempo rincorrono assetati: la totale rimozione della fatica, l’esagerata divinizzazione della sicurezza e del controllo, la tacita accettazione di ogni forma di pensiero. Cosa è importante? Che nessuno mi molesti, che nessuno mi infastidisca nel mio inseguire le vane impalcature immaginifiche che creo tra me e me. Ma di cosa parla esattamente Nietzsche?

“Ahimè! Si avvicina il tempo dell’uomo più disprezzabile, quello che non sa più disprezzarsi. […] La terra è diventata piccola e su di lei saltella l’ultimo uomo che rende tutto piccolo. La sua razza è inestinguibile come quella della pulce di terra; l’ultimo uomo vive più a lungo di tutti. ‘Noi abbiamo inventato la felicità’ dicono gli ultimi uomini, e ammiccano”.

Non siamo più capaci di disprezzarci. Guardare in noi stessi con occhio sincero, criticarci, condannare come sbagliata una nostra azione: riflettere, non fa più parte del nostro sistema di idee. I moti del ’68 furono occasione di progresso e di emancipazione, ma ci insegnarono una lezione pericolosa: “io sono il padrone della mia vita, io so che cosa è meglio per me”. Questo, pur essendo importante, ha portato ad una società dove l’adulto, l’esperto, l’insegnante, non vengono ascoltati. “Io sono misura di ogni cosa”, ci ripetiamo tronfiamente, “il mio bisogno è l’unica cosa dotata realmente di senso”.

Rinchiusi nelle gabbie dorate del nostro io, ci rifiutiamo di dare ascolto al nostro Sé di cui Nietzsche è innamorato,ovvero la nostra dimensione più profonda; una dimensione dove non esiste la prigionia di un egoismo malato, ma solo una stella danzante, che, in quanto tale, non ha bisogno di prendere, ma solo di splendere ed inondare di luce ciò che la circonda. Non è la soddisfazione di uno sterile e superficiale edonismo che la stella richiede, essa non ha bisogno di quelle schiavitù, gli idoli, che ci piace chiamare piaceri, licenze, diritti; non ha bisogno di ciò che, ciecamente, crediamo di desiderare.

L’uomo è un ponte all’ “oltreuomo”, che va superato. Ecco perché il disprezzo di sé è necessario: Nietzsche ci chiama ad un omicidio, (speculativamente ed esistenzialmente parlando: non dobbiamo uccidere nessuno ovviamente). Siamo chiamati a sconfiggere il creatore di idoli che continua ad incatenarci: Il nostro io. Il nostro senso di giustizia, il nostro orgoglio, il nostro vano desiderio momentaneo. È nostro compito smascherarci, scoprire gli inganni che tendiamo a noi stessi, solo così, mediante il disprezzo di quella parte di noi che ci schiavizza, saremo liberi. Ma chi ormai è pronto a dirsi in torto? Chi è l’uomo felice di mettere in discussione i propri idoli? Chi si disprezza più?

E che senso avrebbe disprezzarsi? Conosciamo tutto, la terra ormai è piccola, in un secondo possiamo scoprire ogni angolo dell’Oriente, forzare i segreti della galassia, invitare le masse a comprare il nostro prodotto. Abbiamo inventato la felicità! La felicità è l’ultimo modello, la felicità è il partner giusto per noi, la felicità è il potere, la ricchezza, la salute, la vita media più longeva che mai l’uomo abbia visto. Abbiamo tutto, a portata di mano. E non abbiamo niente.

Ammalarsi e diffidare è da loro considerato peccaminoso: si procede circospetti. Stolto chi incespica ancora nelle pietre e negli uomini. […] Nessun pastore e un solo gregge. Ognuno vuole la stessa cosa, ognuno è uguale: chi sente in modo diverso, entra spontaneamente in manicomio“. Mai verso fu più azzeccato: ammalarsi è Il Male incarnato nelle nostre menti, la salute è un idolo gigantesco sotto l’ombra del quale raggeliamo, dando le spalle alla luce di una reale serenità, che non si lascerebbe intimorire da un fiato spezzato o da un paio di gambe immobilizzate, nemmeno da un tumore o da un figlio Down.

Ammalarsi è il nuovo peccato mortale, messo alla gogna dalla società intera, insieme al diffidare: “Una la cultura, Una la legge, Uno il pensiero, Nessun padrone e Molte pecore”. Il prossimo mio, pensa come si deve pensare o è un folle? Per questo procediamo circospetti, intenti a scovare negli anfratti di internet coloro che noi decidiamo essere nostri avversari, che hanno un’idea diversa: “è impossibile avere un’idea diversa, non è sano”.

“Un po’ di veleno di tanto in tanto procura sogni piacevoli. E molto veleno alla fine, per una morte piacevole”Congelati in queste parole troviamo i nostri più macabri terrori: la paura della sofferenza, della morte e quella di rimanere svegli la notte, dinnanzi al nulla che stiamo diventando.

La paura è forse l’idolo più potente, il terrore spegne l’ultimo baluardo di coraggio nel nostro animoperciò prostituiamo il nostro corpo per una piacevole indifferenza, per un desideratissimo anestetizzante che copra con un velo sempre più sottile, senza mai scacciarli, i nostri demoni. Il lieve piacere è molto meglio, ai nostri occhi accecati, della realtà della vita. È da condannare chi segue questa strada, chi sceglie di uccidersi “dolcemente”? Chi siamo noi per giudicare la vita di una persona. La vera condanna è alla paura, alla forza degli idoli contro i quali l’umanità oppone sempre meno resistenza, al pensiero mellifluo ed evanescente del piacere che serpeggiante contamina la nuda vita.

“Si lavora ancora perché il lavoro è un passatempo. Ma si fa in modo che il passatempo non logori. […] Chi vuole ancora governare? Chi ancora obbedire? L’uno e l’altro è troppo molesto”. Rifuggiamo la fatica, rifuggiamo la molestia. Anestetizziamo ogni cosa,depuriamo ogni cosa, in modo che nulla possa scalfire il nostro mortifero sepolcro. Siamo una nebbia di indifferenza che si posa appiccicosa su ogni cosa che tocchiamo. Grigi, ammazziamo e trucidiamo la passione per paura che le nostre scarpe nuove si infanghino, che la nostra linea si sformi, che nella nostra vita entri qualcun altro.

Stiamo voltando le spalle all’uomo libero amato da Nietzsche, tutto questo nel silenzio assordante saturo di pubblicità che ci circonda ovunque mettiamo piede.

Questa è la profezia di Zarathustra, questo è il nostro presente. Rimane un’ultima domanda che sentiamo necessario porci. Perché Nietzsche ci chiama “gli ultimi”?

Articolo di Paolo Vannozzi

Fonte: http://www.ilsuperuovo.org/gli-ultimi-uomini-la-profezia-nietzsche/

tratto da https://www.fisicaquantistica.it

Gli “Ultimi Uomini”: la profezia di Nietzscheultima modifica: 2018-05-16T15:44:02+02:00da subbuteo63
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